A Mosca Vladimir Putin ha piegato l'arroganza di Recep Tayyp Erdogan e sul fronte siriano di Idlib le armi per ora tacciono. E già successo in passato e anche stavolta il cessate il fuoco potrebbe non durare a lungo. Ma i complessi colloqui tra lo Zar e il Sultano, prolungatasi giovedì per oltre sei ore, riaccendono la speranza in un negoziato in grado di chiudere l'ultimo focolaio di guerra sul territorio siriano. Solo un accordo di pace finale garantirebbe il ritorno a casa degli oltre tre milioni di rifugiati usati dal presidente turco come arma per ricattare l'Europa.
Ma mentre Putin non arretra d'un millimetro l'Europa si prepara a calar nuovamente le braghe. Al termine del Consiglio dei ministri degli esteri europei svoltosi ieri a Zagabria Joseb Borrel, l'Alto Rappresentante per la Politica estera di Bruxelles, ha ammesso che il Consiglio sta esaminando la possibilità di concedere nuovi fondi per il mantenimento dei migranti. Fondi che in teoria non andrebbero direttamente al governo di Ankara, ma alle organizzazioni non governative impegnate nell'assistenza ai rifugiati in Turchia. Ma se non è zuppa è pan bagnato. L'espediente servirebbe soltanto a dissimulare l'imbarazzante cedimento al nuovo ricatto di un Erdogan che già nel 2016 riuscì ad estorcerci con gli stessi mezzi sei miliardi di euro. Consapevole della debolezza europea Ankara continua, intanto, a sospingere i migranti verso un confine greco già assediato da oltre diecimila fra afghani, siriani e africani. Ieri dopo il dispiegamento di mille poliziotti delle forze speciali di Ankara incaricati d'impedire il rientro dei migranti una pioggia di razzi, partiti dal versante turco, ha colpito quello greco diffondendo una coltre di nebbia biancastra che, stando ai testimoni, provocava irritazioni della pelle e difficoltà respiratorie.
Nel frattempo approfittando della scarsa visibilità e della confusione causata dai fumogeni le forze turche avrebbero distribuito ai migranti tenaglie e cesoie con cui tagliar i reticolai innalzati sul versante opposto. Neppure Atene va, comunque, troppo per il sottile. Anche ieri i migranti sono stati respinti a colpi di lacrimogeni e bersagliati con i getti dei cannoni ad acqua. E alle voci, smentite dai greci, sulla presunta morte di un migrante colpito mercoledì dai proiettili delle guardie di frontiera si sono aggiunte ieri le foto, scattate giovedì, di un gruppetto di sfollati in mutande intenti a riscaldarsi intorno ad un fuoco acceso nella terra di nessuno. In un'altra foto un migrante mostra invece la schiena nuda coperta dai segni rossastri lasciati quelli che sembrano colpi di cinghia o bastonate. In entrambi i casi vengono messe sotto accusa le guardie di frontiera di Atene accusate di spogliare i migranti e bastonarli senza pietà. Accuse respinte con sdegno dalla autorità greche che liquidano le immagini come fake news.
Di certo, comunque, gli ordini sono quelli di scoraggiare in tutti modi la marea umana messasi in movimento dopo le false notizie sull'apertura del confine fatte circolare da Ankara una settimana fa. Dopo aver bloccato per un mese l'esame di qualsiasi nuova richiesta d'asilo Atene ha anche ordinato il trasferimento dei migranti sbarcati nelle isole.
A differenza di quanto avveniva in passato i nuovi arrivati vengono imbarcati su navi militari e trasferiti in una caserma in disuso nel nord della Grecia. «Non appena terminiamo le procedure d'identificazione spiegavano ieri le autorità - spostiamo tutti sulle navi, nessun migrante arrivato illegalmente dalla Turchia può rimanere a Lesbo».
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