Politica

Guaidó chiama tutti in piazza Il Papa: temo bagno di sangue

Il Paese è spaccato. Maduro: «Sono io l'eletto». Ancora svalutato il bolivar: ora adeguato al mercato nero

Manila Alfano

Affidarsi alle piazze. Lottare con loro e per loro. È questa l'ultima, disperata arma del Venezuela spaccato. Due presidenti, in un clima di tensione crescente, sembrano per adesso capaci di controllare la piazza, ma la tensione è alle stelle. Usare le masse insomma: Juan Guaidó, il presidente che si è autoproclamato da una parte e Nicolas Maduro dall'altra. Un Paese che fa paura anche al Papa. «Quello che mi spaventa è lo spargimento di sangue. Chi può, aiuti a risolvere il problema. La questione della violenza è molto grande, non c'è soluzione al sangue. Se hanno bisogno di aiuto, di comune accordo lo chiedano». Dalla piazza da cui Guaidó ha invocato «una rivoluzione pacifica senza precedenti» e convocato per la prossima settimana una «grande mobilitazione», ha risposto una conferenza stampa nel palazzo presidenziale in cui Maduro ha ribadito che «in qualsiasi Paese al mondo l'atto di assumere un incarico istituzionale è investito da un protocollo di autorità, di fronte a un'autorità legittima». Due presidenti, due blocchi, trentacinque morti e oltre duecento feriti, la svalutazione della moneta, il bolivar, del 34,83 per cento, per allinearla al tasso praticato dal mercato nero e una piazza contro il palazzo. E la sfida lanciata da Guaidó a Maduro riporta il mondo nella geopolitica della Guerra Fredda, che prenderà corpo in una riunione al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Gli Stati Uniti chiederanno il riconoscimento del capo dell'opposizione quale presidente a interim del Venezuela. Lo farà Mike Pompeo, indicando in Guaidó colui che è in grado di «mettere in piedi un governo di transizione per il ripristino della democrazia e dello stato di diritto». Il segretario di Stato americano si rivolgerà, tra l'altro, agli altri quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna), che hanno potere di veto, dei quali nessuno finora ha mostrato di voler riconoscere come legittima la presidenza Guaidó, sebbene sia Parigi che Londra abbiano definito per nulla democratiche e legittime le elezioni che videro assegnata la presidenza a Maduro. La risposta russa è già arrivata: «Questo non passerà», ha detto l'ambasciatore di Mosca al Palazzo di Vetro.

Vladimir Putin ha espresso, comunque, al collega venezuelano sostegno «nel contesto di un aggravamento della crisi politica provocata dall'esterno». La diplomazia lavora, per evitare il peggio; per non lasciare che Caracas diventi una Damasco in America latina. Se l'amministrazione Trump ha subito riconosciuto l'interim di Guaidó, è più cauta l'Unione europea, che vuole nuove elezioni: quelle vinte da Maduro, ha affermato la Commissione, «non sono state indipendenti e non hanno seguito gli standard internazionali di processo elettorale democratico». Maduro intanto si è detto aperto a un incontro con Guaidó, ma il capo dell'opposizione ha rifiutato.

«Non mi fido», ha detto, ben consapevole che in questo momento è la piazza la sua vera, forse unica arma.

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