"È guerra commerciale" Trump firma due decreti per colpire Pechino

Clima teso in vista del vertice col presidente Xi «Deficit troppo alto, a rischio i posti di lavoro»

"È guerra commerciale" Trump firma due decreti per colpire Pechino

Chi lo conosce bene afferma che il presidente americano Donald Trump ha scelto la residenza di Mar-a-Lago per il bilaterale con il collega cinese Xi Jinping con l'obiettivo di alleggerire l'incontro più aspro e delicato avuto dall'inizio del mandato. A dimostrare la complessità dell'appuntamento con Xi è il fatto che Trump a distanza di una settimana ha firmato due ordini esecutivi sul commercio internazionale che non vanno a favorire il clima tra Washington e Pechino. I decreti hanno l'obiettivo di «combattere gli abusi commerciali» nei confronti degli Stati Uniti. Il primo punta a individuare le cause del deficit commerciale Usa e ogni forma di abuso e di pratica non reciproca. Ed entro 90 giorni è atteso sulla scrivania dello Studio Ovale un rapporto che inquadri la situazione Paese per Paese, prodotto per prodotto. Il secondo ha lo scopo di rafforzare le regole anti-dumping e applicarle in maniera più rigorosa, «per impedire che le aziende straniere facciano concorrenza sleale a quelle americane». Misure che confermano la volontà da parte di Trump di tutelare dal punto di vista normativo e operativo l'America in tema di commercio, e gli costano nuove accuse di protezionismo.

Dopo la stangata che minaccia di abbattersi sui prodotti europei, questa volta nel mirino finisce la Cina: il più grosso deficit commerciale dell'America, infatti, è proprio con Pechino (340 miliardi dei 500 totali) prima di Giappone, Germania e Messico. E per questo lo stesso Commander in Chief ha scritto su Twitter che l'incontro della prossima settimana con Xi «sarà molto difficile». «Non possiamo avere un massiccio deficit commerciale e perdita di posti di lavoro - ha spiegato - Le compagnie americane devono prepararsi a guardare ad altre alternative». A rincarare la dose ci ha pensato il segretario al Commercio, Wilbur Ross: «Siamo da anni in una guerra commerciale, ma adesso la differenza è che le nostre truppe alzeranno i bastioni. Perché gli Usa non si ritrovano in deficit per caso. E la Cina, senza il suo enorme surplus commerciale, non sarebbe mai potuta crescere ai tassi con cui è cresciuta la sua economia». Poi, ha ammonito che «gli Stati Uniti non si inchineranno più al resto del mondo su questo fronte». La revisione, ha continuato, esaminerà i rapporti con ogni Paese, e «dimostrerà l'intenzione dell'amministrazione Trump di non fare nulla a caso, ma di adottare un approccio molto misurato e analitico».

Intanto i grattacapi in casa Trump proseguono sul fronte del Russiagate, dopo che l'ex consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Flynn ha detto di essere disposto a testimoniare in cambio dell'immunità. La proposta è arrivata per tramite del legale del generale, che è stato costretto a dimettersi per aver nascosto al vicepresidente Mike Pence i contatti con l'ambasciatore russo a Washington. «Flynn ha una storia da raccontare» ha detto in un comunicato il legale, Robert Kelner. Secondo fonti del Congresso citate da Nbc, tuttavia, la sua richiesta non è al momento «sul tavolo» per la commissione intelligence del Senato. E nonostante diversi osservatori affermino che un'eventuale deposizione del generale potrebbe mettere in guai seri il tycoon, il presidente ha affermato, sempre su Twitter, che «Flynn deve chiedere l'immunità. Questa è una caccia alle streghe dei media e dei dem (una scusa per la sconfitta elettorale) di proporzioni storiche», ha proseguito.

Ancora non è chiaro come vada interpretata l'offerta dell'ex consigliere: se come una parziale ammissione di colpa, o se invece rischia di rivelarsi lui la vera gola profonda di una delle vicende più controverse della seppur breve reggenza trumpiana.

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