Politica

La prima guerra di Draghi. Nel Sahel contro l'Isis (e per contare in Africa)

Duecento uomini, mezzi blindati, elicotteri nella task force guidata dall'esitante Francia

La prima guerra di Draghi. Nel Sahel contro l'Isis (e per contare in Africa)

Si chiama operazione Takuba, partirà a metà marzo, è non sarà una passeggiata visto che prevede l'invio di 200 uomini delle nostre Forze Speciali, accompagnati da 20 mezzi blindati e otto elicotteri, in una regione del Sahel infestata da Isis e Al Qaeda. A rendere ancora più complessa la prima missione militare del neonato governo Draghi contribuisce la titubanza di una Francia chiamata a coordinare una task force europea creata per bloccare l'avanzata jihadista in un angolo d'Africa dove Parigi ha sempre giocato un ruolo esclusivo. Per capire se le attuali incertezze francesi si ricomporranno bisognerà attendere la conclusione, prevista per oggi, del cosiddetto «G5 Sahel» in svolgimento a N'Djamena capitale del Ciad.

A preoccupare il presidente francese Emmanuel Macron, pronto ad affiancarsi da remoto ai leader di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger, è il progressivo fallimento di Barkhane, la missione forte di 5.100 militari francesi che, assieme a 15mila caschi blu in gran parte africani, tenta di bloccare la penetrazione jihadista nel Sahel. La missione, prolungamento dell'intervento iniziato nel 2012 nel nord del Mali occupato da Al Qaida, è ben lontana dal raggiungere l'obiettivo. Solo nel 2020 gli scontri hanno causato 6.256 vittime fra soldati, civili e terroristi. E i cinque militari francesi caduti a dicembre hanno portato a 50 le perdite di Parigi. Ma quel che più preoccupa è la scarsa determinazione degli alleati africani pronti ad abbandonare la strada dell'intervento militare per quella della trattativa con le fazioni alqaidiste. La scelta negoziale dei Paesi africani, oltre a delegittimare l'intervento francese, rischia di rendere quasi paradossale il coinvolgimento, ad alto rischio, dell'Italia.

Per capire il paradosso basta tornare al 2018 quando Macron, in scontro aperto con l'Italia in Libia, bloccò il dispiegamento di un nostro contingente militare in Niger. Una posizione abbandonata negli ultimi dodici mesi quando si è visto costretto a sollecitare l'intervento di un contingente di forze speciali europee. Così l'Italia, per quanto inizialmente indesiderata, e perfino estromessa dai colloqui politici in cui è stata pianificata la «task force Takuba» (parteciparono Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia e Gran Bretagna), si ritrova al centro di una missione che fin dal nome, mutuato dalla spada delle milizie locali, si preannuncia assai poco pacifica. Le forze speciali italiane acquartierate ad Ansongo, zona calda del nord del Mali, dovranno addestrare le truppe africane e accompagnarle in operazione e combattimento nei territori del Liptako-Gourma, un feudo jihadista a cavallo fra Mali, Niger e Burkina. Qui l'insidia principale è costituita da uno «Stato Islamico nel Grande Sahara» protagonista nel 2017 dell'imboscata costata la vita a 4 militari statunitensi impegnati in una missione non molto dissimile da quelle che verranno affidate ai nostri militari. In tutto questo un ruolo cruciale lo giocheranno gli otto elicotteri messi a disposizione dall'Italia per supplire ai problemi di una Francia in grande difficoltà nel gestire sia gli spostamenti aerei sia le operazioni di soccorso medico e di appoggio alle unità minacciate dai terroristi.

Speriamo soltanto che rischio e costi (quasi 16 milioni stanziati) vengano, a differenza di quanto successo in passato, investiti per restituirci quel ruolo di potenza di riferimento in Libia e nel Nordafrica che l'«alleato» Macron ha contribuito a ridimensionare.

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