La pausa tattica tra Trump e Xi

Una pace di comodo che servirà a entrambe le potenze per guadagnare tempo fino alla primavera

La pausa tattica tra Trump e Xi
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Donald Trump ha definito "straordinario" l'incontro avuto con Xi Jinping. "Su una scala da zero a dieci, direi che è stato un dodici", ha commentato raggiante il presidente americano. In realtà, il compromesso siglato tra Washington e Pechino appare più come una tregua tattica che una svolta strategica.

Pechino sembra aver ceduto su quasi tutti i fronti, mentre Washington si è limitata a concessioni reversibili in qualsiasi momento. La Cina riprenderà gli acquisti di soia americana, otterrà un taglio del 10% dei dazi sul fentanyl e il congelamento temporaneo delle misure contro le navi cinesi. In cambio, gli Stati Uniti si vedranno sospendere il nuovo regime di controlli sulle terre rare mentre i nodi veri, come la tecnologia AI e la questione di Taiwan, non sono stati menzionati.

Una pace di comodo, dunque, che servirà a entrambe le potenze per guadagnare tempo fino alla primavera. Da qui ad aprile si apre una finestra di "stabilità condizionata", utile a Trump per rilanciare l'onshoring industriale e la filiera americana delle terre rare, e a Pechino per concentrare le risorse sull'obiettivo prioritario: recuperare terreno sui semiconduttori avanzati. È una tregua, non una distensione in vista della polarizzazione del mondo in due blocchi: uno centrato sugli Stati Uniti, l'altro sulla Cina. Il cardine della guerra fredda 2.0 ruota sulla supremazia globale nell'intelligenza artificiale: chi controllerà l'ecosistema più esteso detterà gli standard e incasserà i dividendi economici e militari della Quarta Rivoluzione Industriale. In questa corsa, la tecnologia è potere e l'AI rappresenta il nuovo uranio del XXI secolo. E l'Europa? La proroga dei controlli cinesi sulle terre rare, scambiata con la riduzione dei dazi americani, rischia di lasciare Bruxelles al palo. Nell'immediato i problemi dell'Ue sono amplificati dalla carenza di chip "mid-tech" di cui la manifattura europea è fortemente dipendente. Il caso Nexperia, con il blocco imposto dall'Aia alla controllata cinese, è emblematico: quando si gioca la geopolitica industriale senza preparazione e senza una linea europea comune, emergono improvvisamente tutte le dipendenze nascoste.

La Germania, che importa da sola metà delle terre rare dell'Unione, è l'anello più esposto. La ministra tedesca dell'Economia, Katharina Reiche, ha detto chiaramente che le imprese tedesche "devono biasimare solo sé stesse" per non aver diversificato dopo la pandemia. Un raro momento di realismo politico in un continente che continua a confondere sovranità economica con moralismo strategico. La Cina, prevedibilmente, adotterà con Bruxelles la stessa tattica usata con Washington: pressione silenziosa, concessioni selettive e la costante minaccia di restringere le forniture di materiali critici. Gli attacchi verbali di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas contano poco: Pechino sa di avere i choke points, i punti di strozzatura delle catene del valore. La verità è che l'export ban di Asml non ha bloccato la Cina come molti analisti occidentali avevano erroneamente preventivato. Pechino sta costruendo chip sempre più performanti anche senza input occidentali.

L'Europa si consola con piani sulla carta. Dopo il Critical Raw Materials Act, Bruxelles ha varato ReSourceEU, il gemello "minerale" di RePowerEU. L'obiettivo è ridurre la dipendenza da Pechino attraverso riciclo, miniere europee e accordi con Paesi terzi. Ma i fondi promessi sono ancora fermi. In Francia il fondo per i metalli critici gestito da Infravia non ha raccolto che briciole, in Germania il fondo KfW da 2 miliardi è in letargo. In Italia il fondo da 1 miliardo destinato allo sviluppo delle filiere di materie prime dovrà perseguire le necessità dell'industria nazionale e non i vacui desiderata di Bruxelles. Il punto di fondo è che la Ue non farà mai nulla di concreto sulla questione materie prime fino a che non accetterà una banale verità: che la produzione di materie prime necessita di strumenti non di mercato. Se una produzione è strategica bisogna essere disposti a coprire le perdite anno dopo anno fino al raggiungimento dell'obiettivo: l'autonomia, almeno parziale.

In Italia negli anni il concetto è stato mal interpretato, per usare un eufemismo, concedendo casse integrazioni sine die, lasciando i lavoratori a casa. È un salto quantico che Washington ha già compito. Prova ne è l'acquisizione da parte della Difesa di quote in società minerarie e la stipula di contratti a prezzi doppi rispetto a quelli vigenti.

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