La guida clandestina per passare la frontiera: "Chiedo 300 euro, ma la sfida è più difficile"

Viaggio con il "passeur" lungo la ferrovia per eludere i controlli della police

La guida clandestina per passare la frontiera: "Chiedo 300 euro, ma la sfida è più difficile"

È sera, siamo a poche centinaia di metri dal confine francese. In Italia, a Ventimiglia. Solo una curva ci separa dal primo posto di blocco della polizia nazionale. A Ponte San Luigi ci sono sei uomini in divisa. Pettorina gialla e la scritta ben visibile «Police». Puntano il faro su tutto ciò che si muove, fermano e controllano tutte le auto in ingresso in Francia. Con particolare attenzione a quelle con la targa italiana. Quasi a farla apposta, come fosse una ritorsione. Gli animi non sono sereni, come l'atteggiamento spocchioso dei poliziotti schierati lungo tutto il confine dopo i giorni di tensione tra il nostro governo e quello francese. Attorno a noi il silenzio. Il buio. Lungo la strada incontriamo un passeur, anche lui immigrato. È nigeriano, preferisce non dirci il suo nome. È diffidente. È in Italia da quattro anni. Da tre è sospeso al valico di frontiera tra Italia e Francia dove ha trovato lavoro. «Aiuto gli altri ad attraversare il confine» confessa. Ti fai pagare per farlo? «Sì, certo. Devo vivere». Quanti soldi vuoi? «Dipende, di solito 300 euro a persona vanno bene». Parla inglese e solo un po' di italiano. Quello che basta per farsi capire e potersi muovere liberamente nel nostro Paese. Con lui due giovani marocchini. Un borsone e un bagaglio a mano è tutto ciò che hanno. Il passo svelto, sfuggente. Dove andate? «Cerchiamo di passare il confine, ci abbiamo provato questa mattina ma la polizia francese ci ha presi e riportati indietro, in Italia. Ci hanno dato questo» e mostrano il foglio di via: Refus d'entrée, rifiuto di entrare. Li seguiamo. Il percorso verso la Francia è fatto di ostacoli. Non è affatto semplice. Da un lato la montagna, spietata, non risparmia nessuno. Più di un migrante ha perso la vita. «A volte restano appesi lungo il costone, gridano aiuto. Spesso non ce la fanno» - ci dice la proprietaria del ristorante La Grotta, un locale a pochi metri dal confine «Ne abbiamo visti tanti morire. Molti altri, invece, non li vediamo. È il passo della morte». Dall'altro il treno. Il percorso è tracciato, scosceso. Bisogna stare molto attenti. Ci muoviamo in mezzo agli alberi con l'aiuto della luce del cellulare. «No, spegni!» - ci ammonisce il passeur «La polizia potrebbe vederci da sotto» (Ponte San Ludovico, altro punto controllato dai francesi ndr.), attorno a noi i segni del passaggio di centinaia di migranti. Indumenti, valigie e documenti. Arriviamo fino ai binari della ferrovia, di fronte a noi un buco nella rete. «Dobbiamo attraversare, svelti. Lasciate qui la valigia!» dice il passeur con un tono di voce basso ma nervoso. Loro vanno, noi ci fermiamo. Insieme ai bagagli. Troppo rischioso. Poco dopo le urla: «fermi!» È la polizia nazionale francese. Il passeur scappa, lo perdiamo di vista. I due marocchini vengono fermati.

Oggi sono già in Italia, sulle sponde del fiume Roja. Sotto il ponte della tangenziale. Accampati in attesa di ritentare. L'imbuto di Ventimiglia si gonfia e, presto, potrebbe esplodere. A danno dell'Italia. Come sempre.

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