Il terrorista di Capodanno è stato identificato con certezza, ma le autorità turche non rivelano le sue generalità. L'unica indiscrezione trapelata è il nome di battaglia, «Abu Muslim Horasani», che fa riferimento al Khorasan come le bandiere nere chiamano l'Afghanistan ed una fetta di ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale.
Il cerchio si sta stringendo sui complici del terrorista o persone che l'hanno conosciuto. Ieri sono finite in manette 40 persone nella provincia di Smirne. Si tratta di 9 uomini, 20 minorenni e 11 donne. Tutti provenienti dalla repubblica del Daghestan, un epicentro jihadista nel Caucaso, che fa parte della Federazione russa, dalla regione cinese dello Xinijang, dove gli islamici uiguri sono repressi ed in molti hanno abbracciato la causa jihadista e dal Kirghizistan, che ha visto partire 500 volontari della guerra santa per la Siria. I fermati sono membri di alcune famiglie che vivevano a Konya, nell'Anatolia centrale, legate all'ambiente del terrorista, che nella stessa città aveva affittato un appartamento per tre mesi, con moglie e figli, prima di partire, il 29 dicembre, verso Istanbul. Si sono spostati nella zona di Smirne subito dopo la strage di Capodanno. «La persona che ha commesso l'attentato è stata identificata» ha garantito ieri il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, dopo giorni di notizie caotiche su errori di persona. Il nome di battaglia fa pensare ad un estremista proveniente dalla zona afghana o dalle repubbliche vicine dell'ex Urss, che secondo le bandiere nere fanno parte della stessa provincia del Califfato come l'Uzbekistan, il Tajikistan ed il Kirghizistan.
La notte di Capodanno il terrorista ha seguito un piano ben preciso prendendo ordini da un capo cellula dello Stato islamico in Turchia indicato con il nome di battaglia Yusuf Hoca. Il super ricercato potrebbe essere collegato al kirghizo che lo scorso anno ha attaccato l'aeroporto di Istanbul. Si sospetta che il mandante sia un reduce ceceno senza un braccio, Ahmed Chataev, che era stato «adottato» come prigioniero politico da Amnesty international prima della sua adesione al Califfato.
Gli Stati Uniti avevano avvisato il governo turco di possibili attentati dello Stato islamico in Turchia a Natale o Capodanno. Le informazioni riguardavano tre diversi quartieri di Ankara e Istanbul, ma non quello dove si trova il night club Reina obiettivo della strage. L'attacco «mira a polarizzare la società. La Turchia è messa alla prova, ma non saremo sconfitti» ha sottolineato Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco sostiene che collegare l'attacco di Capodanno alle differenze con lo stile di vita occidentale è un deliberato tentativo di dividere la nazione. In realtà gruppi conservatori turchi, vicini al governo, bollano Natale e Capodanno come «feste infedeli».
Il sito del quotidiano Hurriyet ha riportato la testimonianza di Abdullah Can Sarac, il dj della discoteca Reina, che ricorda come l'attentatore abbia urlato tre volte «Allah o akbar» compiendo la mattanza. «Ci siamo chiusi in uno stanzino - spiega il dj - Eravamo terrorizzati e ogni volta che cambiava il caricatore pregavo Dio che fosse l'ultimo».
Il sopravvissuto ricorda che «la città era controllata in ogni punto». E si chiede «come è possibile che il killer abbia potuto agire e fuggire indisturbato? Perchè la polizia ci ha messo così tanto ad arrivare con una caserma distante poche centinaia di metri?».www.gliocchidellaguerra.it
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