Un governo alleato ce l'abbiamo. Un nemico chiamato Stato Islamico pure. Alla guerra, invece, ci stanno pensando Francia (come dimostrerebbe il «volo anomalo» di un C-135 decollato martedì mattina dalla base di Istres verso il centro del Mediterraneo: potrebbe aver rifornito di carburante dei caccia in azione sulla Libia) e Inghilterra. All'Italia dunque resta solo da trovare un generale e un esercito in grado di combatterla. L'equazione libica - esaminata martedì mattina da Matteo Renzi con i ministri competenti e i responsabili della sicurezza - è tutta qui.
Mentre l'Italia briga per dare un minimo di autorevolezza politica al nascente governo di unità nazionale guidato dal premier incaricato Fayez Al Serraj, Parigi e Londra premono, con il consenso di Washington, per introdurre l'incognita di un repentino intervento militare in grado di contenere l'avanzata dello Stato Islamico. E l'Italia rischia di trovarsi ancora una volta spiazzata ed emarginata. Imbattibili nel districarci tra fazioni libiche, avremo poche possibilità di competere con gli alleati se dovremo mettere sul tavolo aerei e truppe da combattimento. L'unica possibile soluzione alla nostra fisiologica debolezza potrebbe chiamarsi Khalifa Haftar. Certo il personaggio non è né limpido né affidabile, ma è l'unico, nella Libia di oggi, a disporre di qualcosa di simile a un vero esercito.
Solo un accordo con questo ex generale gheddafiano oggi Capo di stato maggiore del governo di Tobruk regalerebbe al governo Serraj quella capacità militare che nessuna altra fazione libica è in grado di garantirgli. Ma il generale Haftar e il suo esercito sarebbero anche gli unici alleati in grado di garantire all'Italia un minimo di controllo della situazione sul terreno qualora Stati Uniti, Francia e Inghilterra dessero il via a un'offensiva contro il Califfato.Ovviamente conquistarsi i favori di questo generale 75enne trasformatosi da rivoluzionario e amico di Gheddafi negli anni Settanta a oppositore al soldo di Washington negli anni Novanta, non è cosa semplice. Prima di noi ci hanno già pensato Egitto, Emirati Arabi e Russia impegnati da oltre due anni a finanziare ed armare quell'Esercito Nazionale Libico trasformato da Haftar nel nemico giurato dell'esecutivo islamista di Tripoli, delle formazioni jihadiste e dello Stato Islamico. L'Italia può però giocarsi la carta di un accordo in grado di trasformare l'attuale capo di stato maggiore di Tobruk, in una sorta di ministro della difesa di Fayez Serraj.
Qualche premessa già c'è. Dopo la prima sconfortante missione in Libia durante la quale il premier incaricato ha rischiato di venir fatto a pezzi da un autobomba e di venir impallinato da miliziani allo sbando i futuri ministri di Serraj hanno pubblicamente elogiato la guerra di Haftar alle milizie islamiste di Bengasi garantendogli il sostegno politico del nuovo governo. Messa così la mossa sembrerebbe destinata a rendere più diffidenti le fazioni islamiste di Tripoli e ad isolare Serraj e i suoi. Anche perché l'ambizioso Haftar convinto di poter puntare alla presidenza libica ha più volte ribadito, anche in un'intervista al Giornale, di non voler prendere ordini dal governo nato dalla mediazione dell'Onu. L'equazione, apparentemente insolubile, potrebbe venir risolta se l'Italia diventasse la garante di un accordo capace di trasformare il generale ed il suo esercito nel braccio armato del governo d'intesa nazionale e nell'interlocutore di un'eventuale intervento armato occidentale in Libia.
Un accordo complesso, ma non impossibile se favorito da chi come Russia ed Egitto arma e finanzia il generale. Un accordo che indebolirebbe Tripoli, ma la metterebbe nella condizione di non reagire per non inimicarsi la comunità internazionale.
E che ci garantirebbe il ruolo di ago della bilancia dei complessi giochi libici e al tempo stesso ci consentirebbe di muovere sul terreno solo i militari necessari a garantire l'insediamento a Tripoli dell'esecutivo di Serraj e la difesa delle installazioni dell'Eni a Mellitah e dintorni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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