«Voglio smuovere le coscienze, voglio che la morte di mio marito non sia coperta dall'oblio. Era un uomo felice e aveva tutto il diritto di vivere. Non voglio che i suoi assassini siano fuori in quattro o cinque anni».
Sono passati quattordici mesi dalla notte che ha cambiato la sua vita. E stamattina Federica Pagani Raccagni sarà in tribunale a Brescia per presenziare all'udienza preliminare contro uno dei rapinatori che l'8 luglio 2014 fecero irruzione nella sua villetta di Pontoglio.
Pietro Raccagni venne colpito brutalmente con una bottigliata in testa: morì in ospedale dopo undici giorni di agonia. «Non so perché l'hanno picchiato, forse hanno avuto paura di una reazione. Ma lui non aveva fatto in tempo neanche ad alzare una mano. Lo hanno colpito, ma poi non si sono fermati. Con lui per terra che agonizzava e io che urlavo come una matta, hanno continuato a preoccuparsi solo di rubare la nostra automobile».
Oggi in aula davanti al giudice preliminare comparirà uno della banda, Ergren Cullhaj, che nei giorni scorsi in un interrogatorio davanti al pubblico ministero Claudia Marengola ha ammesso in parte le sue colpe; altri due della banda , i cugini Pjeter e Vito Lleshi, verranno processati con rito abbreviato il 30 ottobre; un quarto uomo, Erijon Luli, è ancora latitante. Dalla morte di Raccagni, insomma, è scaturito un percorso processuale complicato, al termine del quale Federica Raccagni teme che il gioco degli scaricabarile, ma soprattutto ilmeccanismo dei riti alternativi e degli sconti di pena porti gli assassini di suo marito a cavarsela con pene troppo blande rispetto all'enormità del loro delitto.
È una preoccupazione troppo precoce, visto che le udienze non sono ancora entrate nel vivo? «Purtroppo leggo i giornali e ascolto la televisione, so come vanno a finire altre tragedie simili e so come sta andando a finire la giustizia in Italia», dice la signora Raccagni.
Per questo la vedova di Pontoglio e gli aderenti a gruppo che si è raccolto intorno a lei, e che oggi saranno in tribunale con la t-shirt «Io sto con Federica Raccagni», chiedono un intervento legislativo «per dare la certezza della pena»: «La nostra vita quella notte è cambiata per sempre, perché Pietro è stato ucciso davanti agli occhi miei e dei nostri figli. Ma gli unici a scontare l'ergastolo per adesso siamo noi».
«Vogliamo che il legislatore pensi alle vittime», dice la donna. Il tema è quello, più volte sollevato, dello sconto di un terzo della pena che la legge prevede per gli imputati che scelgono il rito alternativo: una misura introdotta per velocizzare la giustizia, ma che di fatto ha portato quasi all'abolizione dell'ergastolo.
Per limitare il ricorso a questa possibilità si è creato in Parlamento uno schieramento bipartisan: ma nella legge che esclude i delitti più gravi dagli sconti di pena, approvata in luglio dalla Camera e in attesa di passare al Senato, non è incluso l'omicidio a scopo di rapina.
Se la legge venisse
approvata nel testo attuale, Ergren Cullhaj e gli altri assassini di Raccagni continuerebbero a poter chiedere lo sconto: anche se la sera dopo avere compiuto l'impresa erano nel paese accanto ad assaltare un'altra villa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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