Hong Kong, guerra al campus. È un assedio alla democrazia

La battaglia è ancora in corso, almeno 160 i feriti Chi può scappa con l'aiuto di amici o in motocicletta

Hong Kong, guerra al campus. È un assedio alla democrazia

Assedio al migliaio di studenti asserragliati nel fortino del Politecnico ancora in corso; battaglia nel campus e nei suoi dintorni, con almeno 160 feriti, ancora in corso; arresti a centinaia, ancora in corso; minacce da Pechino sempre più esplicite, di «un futuro molto tragico» se la rivolta non si estinguerà; sistematica azione di troll cinesi sui siti d'informazione internazionali a sostegno del ritorno alla calma con qualsiasi mezzo e contro i «teppisti» nemici del buon vivere civile nella Hong Kong sconvolta della ribellione in nome delle libertà democratiche.

Il leader di fatto della rivolta, Joshua Wong, continua ad appellarsi all'Occidente, ma ottiene solo parole di condanna da Stati Uniti ed Europa, mentre Papa Francesco, come ha denunciato il delusissimo cardinale Joseph Zen, continua a tacere. È questa, in estrema sintesi, la situazione nella ex colonia britannica dopo l'assalto condotto nella notte tra domenica e ieri al Politecnico di Hong Kong, che si trova in una posizione centralissima della metropoli finanziaria divenuta nel 1997 regione autonoma della Repubblica popolare cinese.

La polizia è passata all'azione alle 5.30 del mattino di ieri, sparando senza risparmio gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro gli studenti, molti dei quali sarebbero minorenni iscritti a scuole superiori e non universitari. Tanti di loro avrebbero cercato di abbandonare il Politecnico per tornare a casa indenni, ma l'intento della polizia è di impedire la loro fuga: pretendono che si consegnino per essere arrestati, promettendo di non usare la forza contro di loro. Consapevoli di quello che li attenderebbe consegnandosi (anche dieci anni di prigione per rivolta violenta contro l'ordine costituito), circa un migliaio di giovani preferisce continuare a sostenere l'assedio. C'è chi afferma enfaticamente di preferire la morte alla resa, mentre altri attendono l'occasione adatta per defilarsi sfuggendo alla polizia. È quanto sono riusciti a fare in diverse decine, ieri: filmati hanno mostrato studenti che si calavano con corde da un ponte presso l'edificio sotto assedio, raggiungendo la strada dove erano attesi da amici o parenti che li portavano via velocemente a bordo di motociclette. Prima della fuga, l'ingresso del campus è strato incendiato per impedire l'intervento dei poliziotti.

Anche ieri soprattutto a Kowloon si sono viste scene di guerriglia urbana, con scambi di lacrimogeni e bottiglie molotov. Nella stessa area semicentrale della metropoli (che ha più di 7 milioni di abitanti) sono comparsi agenti delle squadre speciali armati con fucili d'assalto M4. C'è però in corso a Hong Kong, accanto a quella dell'ordine pubblico, anche una crisi istituzionale: l'amministrazione ha subito uno schiaffo dall'Alta Corte, che ha stabilito la incostituzionalità del divieto emesso il 5 ottobre scorso facendo riferimento a una legge di emergenza di epoca coloniale britannica di partecipare a raduni pubblici con il volto mascherato. E non è cosa da poco anche il fatto che ieri un ministro locale abbia esplicitato ciò che già da giorni si sospettava: il governo di Hong Kong sta valutando «il rinvio» delle elezioni distrettuali fissate per domenica prossima. Questo perché (anche se il ministro Patrick Nip non l'ha detto) è sicuro che da quelle urne uscirebbe un plebiscito anticinese.

La Cina è il convitato di pietra di questa crisi sempre più drammatica. All'evidente desiderio del Partito comunista di rispondere alla sfida con i suoi metodi violenti già sperimentati a Pechino nel 1989 e più recentemente nella provincia a maggioranza musulmana dello Xinjiang, si contrappone la necessità dell'autocontrollo: un intervento militare finirebbe sugli schermi del mondo e distruggerebbe l'immagine positiva che Xi Jinping ha costruito del suo regime neomaoista. C'è però un limite oltre il quale la mancata risposta alla sfida si trasforma in smacco e in pericolo per la stabilità interna cinese.

Per questo ieri l'ambasciatore a Londra Liu Xaoming ha detto che «se la situazione a Hong Kong sfuggirà al controllo delle autorità locali, la Cina non resterà a guardare: prevedo un futuro estremamente tragico se questa situazione continua».

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