Hong Kong, uiguri e Huawei. Londra sfida la Cina su tutto

Johnson sospende l'accordo di estradizione con l'ex colonia e attacca sul Xinijang. Pechino: "Ora basta"

Hong Kong, uiguri e Huawei. Londra sfida la Cina su tutto

Dalle parole ai fatti. La sfida di Boris Johnson alla Cina di Xi Jinping va oltre l'annuncio della futura e chissà quanto effettivamente praticabile esclusione del colosso dell'informatica Huawei dal programma di sviluppo 5G nel Regno Unito e prende il volto di una serie di decisioni del governo di Londra motivate dal rifiuto di accettare passivamente la politica cinese di mancato rispetto dei diritti umani non solo nella ex colonia britannica di Hong Kong, ma anche nel Xinjiang. Il tutto mentre, in vista delle elezioni per il rinnovo del parlamento locale di Hong Kong fissate per l'inizio di settembre, il volto più noto dell'opposizione democratica preannuncia la propria intenzione di candidarsi con un gesto molto coraggioso e dal significato profondamente simbolico.

É stato il ministro degli Esteri Dominic Raab, ieri pomeriggio, a ufficializzare la decisione di Downing Street di sospendere con effetto immediato il trattato di estradizione tra Londra e Hong Kong. La mossa, da tempo attesa e definita dal ministro «necessaria e proporzionata», è la risposta all'entrata in vigore nella ex colonia della draconiana legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino. Raab ha promesso che Londra sarà «dura» con la Cina sia «per quello che sta accadendo a Hong Kong» sia per il trattamento inumano inflitto alla minoranza uigura del Xinjiang, pur non avendo un atteggiamento anticinese. E subito Pechino ha reagito lamentando l'ingerenza britannica nelle questioni interne cinesi, minacciando sicure contromisure e invitando con tono duro Londra «a non proseguire su un percorso sbagliato».

Questo percorso, per ciò che riguarda Hong Kong, era cominciato con le vane pressioni di Johnson su Pechino perché non imponesse la nuova legge che limita le libertà di espressione e di manifestazione nella ex colonia, ed era proseguito con la promessa di spalancare le porte del Regno Unito a milioni di persone che non volessero più vivere in una città sotto il controllo di un regime totalitario. Continua ora con la sospensione del trattato di estradizione e con un annunciato embargo alle forniture britanniche di armi ed equipaggiamento alla polizia di Hong Kong. Ma prende anche la forma di una campagna per il rispetto dei diritti umani della minoranza musulmana uigura del Xinjiang, che Pechino accusa di terrorismo e separatismo, mentre Londra denuncia che «le violazioni grossolane ed eclatanti dei diritti umani» che vi stanno avvenendo hanno motivazioni religiose e politiche. Violazioni mostrate con un filmato durante un'intervista della Bbc all'ambasciatore cinese a Londra Liu Xiaoming, che si è trovato in evidente imbarazzo. Il diplomatico ha cercato di minimizzare il significato delle immagini di un trasferimento di prigionieri uiguri in una stazione ferroviaria, dicendo di non conoscere l'episodio e negando le accuse gravissime di sterilizzazioni di massa ai loro danni. Liu non ha potuto evitare di ammettere che «non si possono escludere singoli casi», mentre dal governo di Pechino le accuse britanniche venivano liquidate come «bugie».

A Hong Kong, intanto, il giovane attivista Joshua Wong, rimasto in città a suo rischio e pericolo dopo la nuova legge sulla sicurezza, ha annunciato l'intenzione di candidarsi al Parlamento per il seggio di Kowloon Est.

Non importa, ha detto, se quasi di sicuro Pechino mi escluderà: «Io non mi arrenderò. Intendo far passare al mondo il forte messaggio che la gente di Hong Kong non si arrenderà mai, anche davanti al rischio di minacce fisiche e di finire in prigione».

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