Roma - Spiazzati, imbarazzati, un filo scandalizzati, persino irritati, e pronti a scaricare il vecchio ex comico un po' arteriosclerotico: così il gruppo di comando dei Cinque Stelle, con le sue appendici a Palazzo Chigi e dintorni, si è fatto descrivere all'indomani della rozza intemerata di Beppe Grillo contro Mattarella e le competenze costituzionali «che dobbiamo levare» al Capo dello Stato. Via la presidenza del Csm, del Consiglio supremo di difesa, e che non si impicci più di scioglimento delle Camere o di nomina dei ministri.
L'esternazione grillesca fa il botto, i media la amplificano, l'opposizione insorge condannandola e denunciando i rischi di eversione del sistema istituzionale della Repubblica. E la Casaleggio corre ai ripari. Si narra di un compunto premier Giuseppe Conte che domenica sera chiama il Quirinale per scusarsi, spiegandogli che «Beppe ha un po' esagerato, ma sa com'è, la foga gli ha preso la mano». Mentre il partito stilava un surreale comunicato per spiegare che la riforma dei poteri del Presidente «non è nel contratto di governo», e che comunque Grillo, non avendo «ruoli istituzionali» può dire quel che gli pare, tanto non conta niente. Si lascia persino capire che in fondo Beppe ha parlato anche pro domo sua: è sotto processo per vilipendio al Capo dello Stato, per gli insulti rivolti in passato a Giorgio Napolitano, quando disse che più che dimettersi avrebbe dovuto «costituirsi». E sapendo quanto il fondatore genovese dei Cinque Stelle sia sensibile dal lato del portafogli, lo sfogo contro l'istituzione quirinalizia sarebbe stato mosso anche dalla preoccupazione di dover pagare per quello strafalcione. La reazione del movimento pentastellato sembra insomma una parafrasi della nota canzoncina di Domenico Modugno: «Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa. Mi dispiace ma non c'è posto, non c'è posto per carità».
Chi però conosce bene i meccanismi interni della macchina della disinformazia casaleggese avanza forti dubbi sulla scandalizzata «sorpresa» dell'establishment pentastellato per le invettive dell'anziano ex comico. Spiega Nicola Biondo, già collaboratore di Casaleggio senior e poi in rotta con il partito: «In politica Grillo è sempre stato un contenitore vuoto il cui testo era scritto da altri. La domanda è: chi gli ha detto di attaccare le prerogative del Capo dello Stato?». La spiegazione che viene data è semplice: serviva un clamoroso fuoco d'artificio per eccitare il declinante pubblico grillino del Circo Massimo e - soprattutto - per distogliere, con titoloni ad effetto, l'attenzione dal pasticciaccio brutto del maxi-condono fiscale appena ingoiato o dalle contestazioni dei No-Tap contro la real-politik del governo gialloverde. La tecnica è vecchia e sperimentata, e «i media ci cascano sempre», come ridacchiano nei capannelli grillini in Transatlantico.
Alla fine il vecchio Peppe, con il suo indefinito ruolo un po' da capopopolo, un po' da «padre di tutti noi» come diceva Di Maio (cui Grillo ha mandato un esplicito avvertimento: non allargarti troppo, nino, perché «io so tutta la verità sulla tua vita», e chi vuol capire capisca) e un po' da giullare finto «esterno», è il veicolo ideale che la Casaleggio utilizza per lanciare
sassi, anche eversivi, potendo poi prontamente nascondere la mano. Perfettamente funzionale ad un partito di governo che deve però continuare freneticamente a fare opposizione, per poter nascondere di non saper governare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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