Valeria Robecco
New York Donald Trump rompe gli indugi e opta per l'interventismo militare nel più delicato dei dossier di politica internazionale, quello sulla Siria. Una decisione figlia di un cambio di orientamento politico che lo ha visto passare da pragmatico sostenitore della guerra al terrore, anche combattuta con alleati scomodi, a gendarme internazionale, in stile George W. Bush, contro il presunto uso di armi chimiche di Bashar al Assad. Un cambiamento che sul campo si è concretizzato nel blitz condotto nella serata di giovedì contro la principale base aerea del regime di Damasco con 59 missili Tomahawk, per indebolire le capacità militari dell'aeronautica al servizio del rais siriano. La stessa, secondo le accuse internazionali, che sarebbe stata autrice dell'attacco con testate chimiche nella cittadina di Khan Sheikhoun, vicino a Idlib, roccaforte dei ribelli estremisti.
I missili cruise lanciati dai cacciatorpediniere Uss Porter e Uss Ross nel Mediterraneo orientale hanno colpito la base aerea di Shayrat, nel centro del Paese, alle 20.45 ora di Washington, le 3.45 del mattino a Damasco. Per ora il bilancio - secondo l'agenzia siriana Sana - è di 15 morti, di cui 9 civili. L'azione militare è stata concepita nella residenza del presidente americano a Mar-a-Lago, in Florida, dove Trump era impegnato nel vertice con il collega cinese Xi Jinping. Residenza trasformata per l'occasione in straordinaria war room, dove il commander in chief era assistito dal segretario alla Difesa James Mattis e dal segretario di Stato Rex Tillerson.
La strategia di intervento è nata proprio dal capo del Pentagono, il quale, tra le diverse ipotesi, ha caldeggiato quella più dimostrativa. L'utilizzo di 59 missili cruise, infatti, sembra piuttosto sproporzionato rispetto agli obiettivi del raid, due rampe di decollo dei caccia. Oltre al fatto che Trump ha preventivamente avvertito Putin, principale alleato di Assad nel conflitto siriano: secondo fonti ufficiali del Pentagono Mosca è stata avvisata con un'ora di preavviso, con tutta probabilità per evitare «danni collaterali» ed allontanare eventuale personale nell'area. A scatenare l'ira di Trump sono state le immagini drammatiche di Khan Sheikhoun: «Nessun bambino dovrebbe soffrire», ha tuonato il presidente parlando brevemente alla nazione e confermando di aver «ordinato un attacco militare mirato contro la base di Damasco da cui è stato lanciato l'attacco chimico». «È nel vitale interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti impedire l'uso di letali armi chimiche». Poi si è rivolto ai «paesi civilizzati», affinché si uniscano agli Usa per «mettere fine al massacro» in Siria, dopo «anni di tentativi falliti» nel cambiare il comportamento di Assad. E ora, secondo fonti del Pentagono, l'America sta verificando anche l'ipotesi che la Russia possa aver avuto un ruolo o possa aver partecipato all'attacco chimico, anche se a momento non ci sono prove. Il braccio di ferro e lo scambio di accuse tra Washington, Mosca e relativi alleati è rimbalzato dalle capitali al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dove è stata convocata una riunione di emergenza: in formato aperto, ha spiegato l'ambasciatrice Usa Nikky Haley, perché «ogni Nazione che sceglie di difendere le atrocità del regime siriano deve farlo in pubblico, e il mondo deve poter ascoltare».
Nonostante l'appello alla «moderazione» del segretario generale Antonio Guterres, che si è detto «consapevole dei rischi di un'escalation», gli attacchi incrociati sono stati durissimi.
«La nostra azione è stata molto misurata, siamo pronti a fare di più, ma speriamo che non sia necessario», ha tuonato Haley. Mentre l'ambasciatore russo Vladimir Safronkov ha ribattuto che «l'aggressione degli Usa è illegittima, e rafforza il terrorismo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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