I casi Durigon e Lamorgese accendono lo scontro Lega-Pd

La guerra tra Salvini e Letta è andata in scena sul palco del Meeting. Ma alla fine le decisioni saranno del premier

I casi Durigon e Lamorgese accendono lo scontro Lega-Pd

Il ministro e il sottosegretario. Pedine di una guerra che non prevede, al momento, vincitori, ma serve, eccome, per tenere sotto pressione l'avversario e rincuorare la claque. Il Pd di Enrico Letta, smarcatosi a sinistra dal suo passato riformista, vuole sul piatto la testa di Claudio Durigon, il sottosegretario leghista che ha avuto la due volte disastrosa idea di reintitolare a Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, un parco di Latina dedicato a Falcone e Borsellino. Nessuna persona di buonsenso riesce a comprendere come gli possa essere frullata in testa un'idea del genere, ma da settimane Letta ne approfitta per colpire le truppe salviniane che poi sono accampate sotto le stesse insegne e i colori dell'Italia di Draghi. Salvini replica mirando al punto debole dell'altro schieramento, ovvero Luciana Lamorgese che ha preso il suo posto al Viminale.

Ad ogni violazione della tregua draghiana, arriva pronta la ritorsione del partner di Palazzo Chigi. Così, anche ieri sul palco del Meeting di Rimini si accendono i duelli paralleli.

Letta vuole portare a casa lo scalpo dell'incauto sottosegretario, anche perché la sua caduta sarebbe un segnale importante prima delle elezioni amministrative e delle suppletive di Siena dove il segretario del Pd si gioca direttamente la sedia. Il successo sulla linea dell'intransigenza risveglierebbe passioni e identità, ma altererebbe gli equilibri sempre in bilico dell'esecutivo. Draghi se lo può permettere? In attesa del verdetto, Letta va giù piatto: «L'apologia del fascismo è incompatibile con la Costituzione e con il nostro Governo. Credo che la vicenda debba essere risolta».

Salvini naturalmente va in trincea e però dalle sue parole si capisce che si rimetterà al giudizio inappellabile del premier: «Noi siamo qui per risolvere i problemi ed eliminare le polemiche. Durigon è il padre di quota cento e con lui mi confronto sul saldo e stralcio. Ragioneremo insieme su cosa fare e cosa sia utile per il movimento e il governo. Discuteremo su Durigon, il quale ha la mia massima fiducia».

Insomma, forse per la prima volta s'intravede una crepa e in quella fessura si infila abilmente Giuseppe Conte, pure lui nell'affollato faccia a faccia di Rimini: «Sono contento che Matteo Salvini abbia dichiarato di voler rivedere la posizione di Durigon come sottosegretario».

L'assedio sembra sempre più stretto e Salvini è costretto a stare sulla difensiva, ma c'è anche l'altro fronte ed è lì che si può sfogare: «Lamorgese deve fare il ministro, cosa che non ha cominciato a fare. I dati dell'organizzazione internazionale dei migranti sono sufficienti a bocciare l'operato del ministro. Mi chiedo in questi 8 mesi cosa abbia fatto, penso che sarà necessario pensare ad un cambio».

Così la gaffe di Durigon si porta dietro il caso Lamorgese. Se citi l'uno, subito viene evocata l'altra. Difficile rompere un uovo senza fare la frittata. Anche se il nostalgico di Latina è in una posizione più delicata rispetto al prefetto arrivato al Quirinale. E protetto, si dice, dal Quirinale.

L'importante è cannoneggiare e non dare l'impressione di arretrare. Antonio Tajani, pure presente allo stesso evento, una tribuna politica di mezza estate con quasi tutti i leader, si sfila dalla disputa, svicola su Durigon e assolve Lamorgese, Letta invece duplica il match: «Difendo Lamorgese dalle critiche pretestuose che le vengono avanzate. Lei sta facendo un buon lavoro».

In verità le arrivano bordate anche da sinistra. Non solo sull'immigrazione; ci sono state le mezze gaffe sul green pass e la gestione scriteriata dell'incredibile rave che si è tenuto nei giorni scorsi in provincia di Viterbo, richiamando migliaia di giovani da tutta Europa. Ma nell'arena di Rimini, Letta stringe l'obiettivo sui barconi: «Basta con le polemiche che vengono fatte per ragioni elettorali in materia di immigrazione».

Davanti al popolo di Rimini e all'opinione pubblica, è assestare la stoccata che aggiorni lo score sul tabellone. Sugli eventuali addii, soprattutto su quello del sottosegretario all'economia, sarà Draghi, quando sarà il momento, a decidere.

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