Politica

I colori (non solo degli abiti) che ci migliorano la vita

«Felicità non è altro che contentezza del proprio essere e del proprio modo di essere, soddisfazione, amore perfetto del proprio stato». Giacomo Leopardi. Leggo questa frase e, non so perché, improvvisamente la vita mi appare a colori. Non che Leopardi vedesse la vita colorata; il suo cosiddetto «pessimismo cosmico» al limite potrebbe farci indossare lenti grigie o nere. Eppure è proprio lui ad ispirare la mia giornata colorata. Ad un uomo può bastare una cravatta o un fazzoletto per «darsi un colore», alla donna un paio di scarpe fiammeggianti Ma in realtà il colore non è puntato sull'accessorio: il colore è nella testa e il capo viene indossato come testimonial esterno del proprio stato d'animo. Per definizione intimo. Interno. I colori rendono la vita accettabile. Chiunque li abbia immaginati, per quel calderone che si chiama Vita, è ovvio che aveva una fantasia inarrivabile - e non tanto per l'invenzione del colore in sé - ma per la gamma, le sfumature, la quantità quasi inesauribile delle differenti definizioni. Sappiamo tutti che ci sono giorni grigi, giorni bui, ma perché parlare così poco dei nostri giorni gialli, rossi, verdi? Vogliamo dire dei cieli che ci ispirano passando dall'azzurro al blu al rosso , alle striature? Vogliamo chiederci come mai continenti e paesi tutto sommato destinati alla povertà - e dunque alla tristezza- paesi come l'India, l'Africa, sono colorati, immaginifici, infinitamente variati? Secondo me perché la povertà e la tristezza si contrastano fisiologicamente con il colore ed ecco il perché dei sari indiani, del blu dei Tuareg, del giallo delle tonache dei buddhisti; un modo non come un altro - per rallegrare un ambiente che altrimenti deprimerebbe chi vi abita. Insomma, un antidoto. Il colore, di per sé indefinibile, è un sostantivo che ben si presta alle aggettivazioni. Mutuante, inafferrabile; un colore, per quanto lo si voglia ingabbiare nel pantone, non sarà mai uguale a se stesso. Il colore entra nella nostra vita dalla porta laterale per uscire da quella principale. Imponendosi in silenzio. Il colore è il nutrimento dell'occhio: lo sostanzia, lo sfama, lo fa crescere. Sin da bambini inizia la lunga vita che accomuna colore e occhio rendendoli compagni di viaggio e inseparabili ed emotivi strumenti dell'uomo per attivare costantemente i neuroni di cui siamo composti. E poi, non si sa perché, arriva la stagione di un colore, di quello, solo di quello. Da New York a Singapore quel determinato colore prende piede e il mondo realizza che guiderà le nostre percezioni visive. Almeno per un po'. Il mondo si colora in modo univoco anche se, coloro che innescano i trend presto si annoiano di quello stesso mood che avevano imposto al mondo e cambiano cavallo, dunque colore, lasciando ancora per un po' le masse, inconsapevolmente, alle prese con quella che era stata idea di pochi. E mentre coloro che hanno inizialmente istigato pian piano si ritirano e già pensano a quello che sarà, altri, molti altri, per un po' andranno avanti pensando erroneamente di essere ancora «di moda». E dunque vivranno nel medesimo tempo degli asincronici umani che «sono» e che «non lo sono più».

E' tutto un gioco orchestrato dalla Comunicazione, questo è ovvio, ma al centro rimane la percezione colorata di noi stessi e degli altri senza la quale saremmo immersi nel grigio di un mondo triste che, senza la variabile del colore, non lascerebbe sbocciare passioni, idee e, di questo sono certo, amori tatuati dal colore del momento.

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