Dal punto di vista degli imputati assolti, meglio tardi che mai. Ma otto anni sono troppi per rimediare a una brutta figura, e la figuraccia rimane, soprattutto perché si poteva evitare. L'elenco degli errori è lungo e non riguarda solo gli investigatori e i giudici di vario grado, ma anche il sistema giustizia italiano, contorto e profondamente confuso, oltre che di una lentezza mediorientale. Tutto è bene ciò che finisce bene, si fa per dire. Raffaele Sollecito e Amanda Knox, tra una doccia fredda e una doccia calda, sono stati scagionati, come era giusto che fosse, per un motivo tanto semplice da essere disarmante: non si condannano persone per un delitto che non si è certi abbiano commesso. Punto e amen.
La strada che si è percorsa per giungere a questa conclusione è piena di accidenti, di crudeltà e di assurdità. E meno male che la Cassazione ha dimostrato un'assennatezza di cui francamente non la accreditavamo. Altrimenti oggi saremmo di fronte al sospetto che un paio di innocenti fossero in carcere, ciò che spesso è accaduto e accadrà ancora finché non cambieranno i metodi processuali. Metodi che suscitano perplessità in altri Paesi dove pure si sbaglia, ma si cerca almeno di evitarlo. Come? Per esempio consentendo di ricorrere in appello soltanto a chi in primo grado sia stato condannato, al quale bisogna assicurare la possibilità di un «esame di riparazione». Appello, viceversa, non previsto per la pubblica accusa in base al principio che se essa non è stata capace di provare la colpevolezza dell'accusato, significa che le prove e gli indizi raccolti non sono abbastanza forti.
Da noi, invece, il secondo grado è aperto sia all'accusa sia alla difesa col risultato che tra magistrati (Pm) e avvocati scoppia una vera e propria lite, con tanto di ripicche che assomigliano molto a vendette. Ma che giustizia è quella che sfocia regolarmente in risse, quasi che il soccombente rischiasse di perdere la faccia? Talvolta gli effetti prodotti da simile braccio di ferro sono surreali. È stato il caso di Amanda e Raffaele, i quali si sono fatti quattro anni - una vita, alla loro età - di carcerazione preventiva e altri quattro di libertà provvisoria (in attesa di verdetto definitivo), immagino trascorsi nell'angoscia e senza alcuna opportunità di costruirsi un'esistenza normale. Tutto questo è inammissibile. All'estero incomprensibile. Ovvio che la stampa straniera consideri l'Italia fuori dal mondo civile, altro che culla del diritto.
Da vari anni è stata abolita una vecchia formula salvifica: la cosiddetta «insufficienza di prove», grazie alla quale in «dubio pro reo». Cancellata questa scappatoia, oggi i tribunali sono di fronte a un bivio: o colpevole o innocente. Tertium non datur . Cosicché in camera di consiglio, i magistrati si scannano per far valere le loro opinioni. E sottolineo opinioni. Se teniamo conto che i giudici popolari - non togati - non capiscono un cavolo di diritto, immaginate quale scempio del diritto stesso avverrà nelle sacre stanze della giustizia.
A complicare le cose negli ultimi tempi è intervenuta la scienza, di cui abbiamo il massimo rispetto, che però, essendo maneggiata da uomini, può trasformarsi in una fonte di topiche macroscopiche. Non raramente le perizie ordinate dal tribunale e quelle di parte sono contrastanti, si smentiscono l'una con l'altra. Quali sono esatte e quali no? Se anche gli esperti non sono d'accordo tra loro, ci si può fidare delle congetture e dei teoremi dei pubblici ministeri, che affrontano i processi con lo stesso spirito combattivo dei pugili, pronti a tutto pur di vincere il match dal cui esito dipendono fama e carriera?
In alcune circostanze si ha l'impressione che le toghe siano sadiche e godano allorché le loro decisioni servano a sbattere in prigione gli imputati a ogni costo, anche quello di prendere un granchio. In questo senso la vicenda di Amanda e Raffaele è paradigmatica. Rudy Guede, condannato a 16 anni per concorso in omicidio di Meredith Kercher, non ha mai fatto i nomi dei due quali suoi complici. Le cui tracce nel teatro dell'omicidio non sono state rilevate, se si esclude una briciola di Dna sul gancetto del reggiseno recuperato sotto il letto della vittima 40 giorni dopo il delitto. Altri elementi non c'erano per incastrare lei e lui. Solo elucubrazioni. Qualche labile indizio.
Occhio, però. L'opinione pubblica era divisa in due parti: innocentisti e colpevolisti. Più numerosi quelli che pretendevano di aver capito, sulla scorta di sensazioni, che i due innamorati meritassero la cella. Le pressioni ambientali, le aspettative della gente influenzano tutti, in particolare i giudici popolari. E così si comprende la piega negativa che hanno assunto le sentenze di primo grado e dell'Appello bis. Ma, al netto delle supposizioni, delle malevolenze e delle stupidaggini a cui la stessa Amanda ha dato corpo nel corso dell'inchiesta, nulla giustificava una pena detentiva da infliggersi ai due giovani.
L'avvocato Giulia Bongiorno e il suo collega Carlo Della Vedova sono stati impeccabili. Mi domando se il merito dell'assoluzione sia tutto loro o abbia giocato favorevolmente la notevole sensibilità della Corte. Difficile rispondere. Comprensibile il dolore dei genitori della vittima, i quali a distanza di otto anni dal fatto di sangue non sanno ancora se ad averlo commesso sia solo Rudy o se questi si sia avvalso della complicità di qualcuno.
Eventualmente, chi? Ma è anche vero che o gli assassini vengono identificati con sicurezza, e castigati, oppure, nella vaghezza delle ipotesi, è criminale selezionare due individui e punirli per ciò che forse hanno compiuto o forse no. Comunque la nostra giustizia - e non mi riferisco alla Cassazione - ha confermato di essere malata. Soprattutto di protagonismo.
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