I diversivi M5s sulle grandi infrastrutture per narcotizzare gli elettori presi in giro

I grillini fanno la voce grossa per tacitare l'ala movimentista. Ma sanno di dovere cedere

I diversivi M5s sulle grandi infrastrutture per narcotizzare gli elettori presi in giro

A sentire le persone dell'inner circle di Giggino Di Maio nell'immaginario del leader dei 5stelle c'è un celeberrimo personaggio cinematografico della commedia italiana a cui spesso viene paragonato Alessandro Di Battista, alias il Dibba, ed è quello interpretato da Alberto Sordi nei «Vitelloni», quello che rivolgendosi da un camion agli operai di un cantiere grida: «Lavoratori?! Prrr...». L'immagine che stigmatizza con l'ironia la pernacchia del nullafacente, è un corollario di quell'appellarsi sempre al verbo «lavorare», che in fondo accomuna Giggino al lessico salviniano. Dice Salvini parlando di Di Maio: «È una brava persona che lavora tanto, altri sono mossi da pregiudizi... Di Battista? Con la capitana della Sea Watch una coppia mica male!». Esclama Giggino rispetto ad un vertice tra lui, Fico e il Dibba per riportare calma tra i grillini: «Sono liturgie da vecchia politica, c'è bisogno di gente che lavori». Appunto, dalle parti di Di Maio i tanti «Dibba», che affollano l'ala movimentista, sono solo potenziali redditi di cittadinanza. Una convinzione che si è trasformata in un luogo comune visto che Di Battista, ponendo ad un vecchio amico che lo segue dalle origini la fatidica domanda di Vladimir Ilic Lenin «che fare?», si è sentito rispondere: «Hai una moglie e un figlio, trovati un lavoro!».

Già, per il Dibba «il lavoro» è ormai una «persecuzione», come per Di Maio sono una persecuzione i «movimentisti» alla Dibba. Giggino, addirittura, è costretto ad una doppia fatica per coniugare le logiche del governo con quelle del movimento: facile a dirsi quando si parla di sesso degli angeli; difficile, se non drammatico, quando si affrontano dossier come Autostrade, Alitalia, Ilva, cioè quando in ballo ci sono numeri che incidono sul Pil e sull'occupazione. «Anche noi - spiega il sottosegretario grillino ai rapporti con il Parlamento, Vincenzo Santangelo abbiamo capito che la politica è l'arte del compromesso. Solo che siamo un partito che ha un'anima: da una parte è un bene, dall'altra un problema». E a volte quell'anima va «narcotizzata» proprio perché altrimenti crea problemi. Seri. Ieri, ad esempio, il sottosegretario alla giustizia, Vittorio Ferraresi, per un puntiglio su un provvedimento su cui maggioranza e opposizione si erano messi d'accordo, ha mandato il governo sotto su un emendamento alla Camera. «Ferraresi che è un movimentista spiega il forzista Enrico Costa, firmatario della norma ha dato parere negativo su un tecnicismo e la maggioranza è stata battuta. Vallo a capire!». Per capirlo, però, bisognerebbe ricorrere alla scienza dell'anima, alla psicologia, che percorre itinerari tortuosi. Così, tra una polemica feroce e un'espulsione (ieri nel gruppo grillino della Camera altre due deputate sono state sbattute fuori) la maggioranza gialloverde si ritrova in minoranza alla Commissione lavoro della Camera e nella stessa condizione in quelle Esteri e Ambiente del Senato.

Ecco perché Di Maio deve maneggiare con cura casi come quello Austrade-Alitalia e Ilva. Deve dire tanti «No», prima di arrivare ad un «Ni» o, magari, ad un «Sì», se vuole evitare guai che potrebbero anche diventare grossi. Basta pensare a quella battuta regalata da Beppe Grillo davanti all'Hotel Forum a Roma: «Quel che dice Toninelli va benissimo: se ritiene che sia giusto revocare la concessione ad Autostrade, si faccia. Sarebbe anche giusto avere autostrade gratuite in Italia, magari potremmo giungere a quello...». Discorsi di chi sta sulla luna, che dietro al sogno delle autostrade gratuite, dimentica che c'è bisogno di Atlantia capogruppo di Aspi, cioè dei Benetton, per salvare Alitalia. Per cui su questi argomenti Di Maio da un lato è costretto a spararle grosse, ad alimentare il fumo per addormentare l'anima movimentista, dall'altro è alla ricerca spasmodica di una mediazione: ieri le due questioni Autostrade e Alitalia sono state affrontate insieme al ministero dello Sviluppo, mentre domani per l'Ilva il vicepremier grillino incontrerà l'amministratore delegato di Arcelor Mittal. «Certo non posso pensare ammette il capogruppo dei deputati, Francesco D'Uva che per una questione politica come quella che è diventata la revoca della concessione ad Aspi, possiamo mandare a picco Alitalia». Mentre il presidente dei senatori, Stefano Patuanelli, azzarda: «Si potrebbe arrivare a una revoca parziale della concessione, in cambio di una partecipazione di Atlantia all'offerta per Alitalia».

Insomma, siamo all' «arte del compromesso», perché le offerte di disturbo messe in campo dai grillini non vanno da nessuna parte: il gruppo Toto, allettato con i lavori sull'A24 e sull'A25, non ha le spalle per partecipare al salvataggio di Alitalia; mentre la proposta di Lotito, che grazie ai grillini vorrebbe vincere la diatriba che lo vede impegnato per entrare al Senato, sconfina nella parodia. «Ma vi rendete conto diceva ieri il presidente della Lazio con una punta di sarcasmo che questi vogliono vedere i soldi! I soldi!». Messa così è evidente che il tatticismo di Di Maio è fin troppo scoperto, alla fine come per la Tav, anche per Autostrade, Alitalia e Ilva si arriverà ad un accordo «non detto». «Non capite queste strambate? Figuratevi io!» ammette Alessandro Amitrano, un «governativo» convinto dei 5stelle: «Certo che se per calmare l'ala movimentista dobbiamo mandare giù il titolo di Autostrade in borsa, non mi sembra un grande affare. Tantopiù che Atlantia è l'unico interlocutore reale per Alitalia». «Alla fine troveremo un'intesa anche sull'Ilva scommette un altro governativo, Luca Carabetta tra il soffitto e il pavimento ci fermeremo a mezza altezza, trovando altre tutele legali per la Mittal. La verità è che nel giro di 20 giorni dovremo trovare un accordo su tutti i dossier».

E questo con buona pace dell'ala movimentista. La realtà è che l'ala governativa dei 5stelle sta subendo una mutazione antropologica. «Chi di noi arriva qui spiega alla buvette di Montecitorio, il capogruppo D'Uva pensa che la battaglia è tra noi, gli onesti, gli altri, i disonesti. Ma poi ti accorgi che gli onesti ci sono anche nelle altre forze politiche». «Io ho una devota ammirazione per Mara Carfagna», confessa Carabetta.

La commedia dei «no», dei «ni», dei «sì», lascia perplessa gente pratica come i leghisti. «Che debbo dirvi, non li capisco proprio? ammette il capogruppo dei senatori, Massimiliano Romeo non se vogliano trattare al meglio o se i loro no siano veri». Ma questa è condizione esistenziale della maggioranza gialloverde. A Bruxelles, ad esempio, Salvini e Di Maio hanno spinto il premier Conte a silurare la candidatura del socialista Frans Timmermans alla presidenza della Commissione Ue. Operazione riuscita.

Ora, però, si ritrovano in quel ruolo la delfina della Merkel, Ursula van der Leyen; al posto di Mario Draghi alla Bce l'attuale presidente del Fmi, Christine Lagarde, (spesso bersaglio di Salvini e soci); e, infine, il silurato (e arrabbiato) Timmermans vicepresidente della Commissione. Conte millanta che l'Italia avrà il commissario per la Concorrenza. I sovranisti nostrani avranno fatto bene i loro calcoli, o no?

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