Politica estera

I dubbi dei Repubblicani su Trump. E un suo fedelissimo finisce in cella

Dibattito nel partito sulla candidabilità del tycoon. Frode e riciclaggio: arrestato George Santos, deputato del Gop

I dubbi dei Repubblicani su Trump. E un suo fedelissimo finisce in cella

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Donald Trump è pronto a impugnare la condanna del tribunale civile di New York per aggressione sessuale e diffamazione, ma tra i repubblicani crescono i timori che il verdetto possa complicare il suo cammino verso la Casa Bianca. E intanto, sempre nella Grande Mela, il controverso deputato trumpiano George Santos è agli arresti per frode e riciclaggio. Riguardo il procedimento promosso dalla scrittrice Jean Carroll, per l'avvocato dell'ex presidente Joe Tacopina è stato ingiusto per molti aspetti e il suo cliente intende presentare ricorso. In primis il legale ha sottolineato i presunti pregiudizi della corte, affermando che quando si parla del tycoon, «a New York non puoi avere un processo equo». «Penso che Trump avesse paura di venire a testimoniare in aula, ma mi sarebbe piaciuto guardarlo in faccia», ha detto invece Carroll dopo la decisione per i fatti avvenuti negli anni Novanta nel grande magazzino Bergdorf and Goodman. «Il mondo conosce finalmente la verità - ha aggiunto - Questa vittoria non è solo per me, ma per ogni donna che ha sofferto perché non è stata creduta». La vicenda sta sollevando diversi dubbi all'interno del partito repubblicano: molti sostengono la teoria dell'attacco politico contro l'ex presidente, ma c'è chi teme che il caso danneggi la sua corsa. Uno dei primi ad esortare il Grand Old Party a prendere le distanze da The Donald - per ora saldamente in vetta nelle preferenze rispetto agli altri candidati o potenziali candidati conservatori - è Mitt Romney. «Spero che la giuria del popolo americano raggiunga la stessa conclusione su Trump. Semplicemente, non è adatto alla presidenza e ad essere la persona a cui affidiamo i nostri figli e il mondo come leader del mondo libero», ha detto il senatore dello Utah, spesso molto duro con il tycoon.

A difenderlo, invece, è l'ex vice presidente Mike Pence. «Nei miei quattro anni e mezzo al servizio del presidente non ho mai sentito o assistito a comportamenti di quella natura - ha spiegato - In un momento in cui le famiglie stanno lottando, la nostra economia sta soffrendo, e il mondo sembra essere un posto ogni giorno più pericoloso, non credo questa storia sia ciò su cui si concentra il popolo americano». A mettere in imbarazzo il partito e Trump è anche la vicenda di Santos, che si è costituito al tribunale federale di Long Island per frode, riciclaggio di denaro, furto di fondi pubblici e dichiarazioni false alla Camera. La parabola discendente del 34enne originario del Brasile è iniziata con un reportage del New York Times che rivelava alcune incongruenze nella sua storia privata e professionale. Durante la campagna per il seggio di Long Island, Santos aveva dichiarato di essersi laureato all'università Baruch e di aver lavorato per Citigroup e Goldman Sachs, ma di lui non c'era traccia, così alla fine ha ammesso di aver «aggiustato» il curriculum. Poi le bugie sulla madre sopravvissuta agli attacchi dell'11 settembre 2001, la nonna ebrea fuggita dai nazisti, le ambiguità sul suo orientamento sessuale e le accuse di molestie sessuali da parte di un ex componente del suo staff.

Infine, la truffa in una raccolta fondi online per pagare un intervento chirurgico al cane malato di un veterano.

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