Magistratura

I giudici cancellano "padre e madre"

La Corte d'Appello smonta il decreto Salvini del 2019 sull'anagrafe. Via libera alle coppie gay

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Tornano «genitore 1» e «genitore 2» sulle carte d'identità dei minori e Matteo Salvini si inalbera. Tutto a causa della nuova bocciatura imposta da una sentenza al decreto con cui nel 2019 il Viminale, allora retto dal leader leghista, impose che sulle carte d'identità elettroniche dei minorenni e nei moduli per richiederle vi fosse la dicitura «padre» e «madre» al posto del più generico «genitori». Già a novembre 2022 il tribunale di Roma diede ragione alle due madri di una bambina che avevano chiesto di poter avere un documento che rispecchiasse la reale composizione - omogenitoriale - della famiglia, sostenendo che il decreto rischiava di costringere gli impiegati che rilasciavano le Cie a commettere falso in atto pubblico, definendo «padre» una mamma o una persona che padre non era, ma ne faceva le veci. Adesso arriva la conferma dalla Corte d`Appello di Roma, che impone al Viminale di tornare alla dicitura «genitori o chi ne fa le veci» o, comunque, a una definizione che rispetti il genere del genitore del minore titolare della carta di identità. E se l`associazione Famiglie arcobaleno esulta, Salvini va su tutte le furie. «Decisione sbagliata», twitta il vicepremier e titolare del Mit. «Ognuno - argomenta Salvini - deve sempre essere libero di fare quello che vuole con la propria vita sentimentale, ma certificare l'idea che le parole mamma e papà vengano cancellate per legge è assurdo e riprovevole. Questo non è progresso». La linea, insomma, resta la stessa di un anno e mezzo fa, quando dopo la sentenza di primo grado Salvini ringhiò: «È incredibile. Usare sulla carta di identità le parole padre e madre, le parole più belle del mondo, secondo il Tribunale civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali».

Come detto, invece, esultano le famiglie omogenitoriali, con l'associazione Famiglie Arcobaleno che rimarca come i giudici di Appello, nella sentenza, abbiano «ribadito un concetto molto semplice: sulla carta d'identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile».

E in effetti sono proprio i giudici a spiegare come, più che un inchino all`omogenitorialità, la decisione sia dettata dalla necessità di eliminare un decreto che, per loro, contrastava «con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 30 I comma». L`opzione unica madre e padre, insomma, non copre tutte le possibilità, non contemplando per esempio l`esistenza di istituti come l'adozione nei casi particolari, che può dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso».

Va anche detto che, prima ancora del varo del decreto, questa criticità era stata sollevata anche nel parere del garante per la Privacy, sollevando polemiche e inducendo lo stesso Antonello Soro a chiarire, in una piccata nota datata novembre 2018, che il parere negativo non era «affatto un'obiezione generale - tantomeno ideologica - alle nozioni di padre' e madre', ma si limitava a sottolineare come la modifica introdotta dal decreto si è rivelata inattuabile in alcune ipotesi, con gli effetti discriminatori che necessariamente ne conseguono per il minore».

Citando come esempio il minore che, «affidato a soggetti che non possano definirsi suo padre e/o sua madre, non potrebbe ottenere mai la carta d'identità elettronica, non avendo appunto egli alcun padre o madre legittimati, essi soli, a richiederne il rilascio».

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