I giudici: «Non è reato essere figli di Berlusconi»

Arrivano le motivazioni del processo Mediatrade in cui furono assolti Pier Silvio e Fedele Confalonieri: "Non ci sono prove per una condanna"

I giudici: «Non è reato essere figli di Berlusconi»

Milano - Una logica pericolosa. Ribaltando la prospettiva, varrebbe da stigma: Pier Silvio Berlusconi è innocente nonostante sia figlio dell'ex Cavaliere. È un passaggio scivoloso, quello riportato nelle motivazioni con cui i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Milano hanno assolto il vicepresidente di Mediaset dall'accusa di frode fiscale nel cosiddetto processo Mediatrade. Pagina 58, primo capoverso. «Il fatto di essere il figlio di Silvio Berlusconi - il riferimento è a Pier Silvio - è certamente elemento che potrebbe far sospettare che egli fosse a conoscenza del meccanismo fraudolento ma rimane una mera ipotesi che (...) non solo non è stata in nessun modo suffragata, ma ha trovato nelle prove dichiarative e documentali (...) elementi di contrasto». Insomma, di circostanze che inguaino direttamente il giovane Berlusconi non ce ne sono, al contrario. E nemmeno è provato che «avendo egli appreso nel corso di questi anni l'esistenza di tale illecita operazione, abbia avallato che essa proseguisse». E tuttavia - sembrano dire i giudici - quel nome è sufficiente perché più di un dubbio si insinui.

Non fosse per questo passaggio, la sentenza scorrerebbe blanda attorno al «meccanismo fraudolento nel cosiddetto “giro dei diritti”» televisivi che sarebbe stato realizzato tra il 1999 e il 2005, ma non ai fini dell'evasione fiscale quanto di appropriazione indebita, contestata ad altri imputati e andata prescritta. Una vicenda nella quale manca «la prova certa circa il contributo consapevole da parte dei vertici del gruppo Mediaset e, segnatamente, di Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi» (presidente e vicepresidente del colosso di Cologno Monzese) al sistema congegnato per frodare il fisco in relazione al bilancio consolidato dell'azienda, e in cui sono stati assolti (oltre alla prescrizione per i presunti reati relativi al 2005) anche gli altri gli imputati, dal produttore statunitense Frank Agrama - ritenuto dalla Procura il «socio occulto» di Silvio Berlusconi - agli ex manager del gruppo Daniele Lorenzano, Gabriella Ballabio e Giorgio Dal Negro. E anche qualora Pier Silvio «fosse stato a conoscenza del meccanismo fraudolento vigente all'epoca di suo padre, Bernasconi, e di Lorenzano, resta, comunque, che l'operatività nell'acquisto dei diritti, (...) era fortemente mutata».

Ma nell'economia dell'intero procedimento, l'equazione fatta dai giudici (in sintesi, essere figlio dell'ex Cavaliere non prova che sapesse dei reati) appare in contrasto con quanto stabilito dal gup di Milano Maria Vicidomini, che nel novembre di tre anni fa prosciolse l'ex premier dalle accuse di appropriazione indebita e frode fiscale perché «il complesso degli elementi» emersi nel corso dell'udienza preliminare sul caso Mediatrade, «consente di escludere (...) che Silvio Berlusconi, negli anni di riferimento delle imputazioni del presente procedimento (2002-2009, ndr ) abbia concretamente esercitato poteri di fatto sulla gestione di Mediaset, anche sotto forma di semplici direttive, continuando a gestire l'asserita frode nella compravendita dei diritti televisivi unitamente al suo “socio occulto”, Frank Agrama».

Se, dunque, già tre anni fa un giudice stabiliva che non esistevano «i minimi dati fattuali che consentano di configurare una compartecipazione materiale o morale» di Silvio Berlusconi alla presunta frode fiscale, per quale motivo allora Pier Silvio dovrebbe risponderne anche esclusivamente in astratto, per il solo fatto di essere il figlio di suo padre?

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