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I giudici del Riesame affondano Casarini "Il soccorso non giustifica le illegalità"

Il tribunale di Ragusa d'accordo coi pm: "Ha agito in spregio ai divieti. Anomalo anche il bonifico di 125mila euro in cambio del trasbordo"

I giudici del Riesame affondano Casarini "Il soccorso non giustifica le illegalità"

Basta usare la carta del soccorso in mare per giustificare azioni illegali. Non è un jolly che solleva da ogni responsabilità. Si potrebbe riassumere così quanto scrive il collegio del tribunale del Riesame di Ragusa che ha rigettato la richiesta di riesame, «infondata e inammissibile», dei difensori dell'ex disobbediente Luca Casarini e soci accusati dalla procura di Ragusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina pluriaggravato per avere trasbordato l'11 settembre dalla petroliera danese Maersk Etienne 27 migranti sulla Mare Jonio dietro pagamento di 125mila euro, per poi farli sbarcare a Pozzallo. Su questo principio e sul connesso stato di necessità dell'intervento in mare la difesa aveva puntato tutto. Ma i giudici del Riesame, ritenendo legittimi i sequestri effettuati dagli inquirenti, scrivono pagine destinate a fare giurisprudenza.

In primis chiariscono che, in nome di un soccorso in mare, non si può agire «in spregio alla diffida-divieto» delle Capitanerie di porto di effettuare soccorsi. Invece il rimorchiatore di Mediterranea Save Humans ha preso a bordo i migranti pur non essendo «abilitato ad eseguire operazioni di salvataggio e trasporto in mare in situazioni di emergenza con sistematicità e preordinazione». Il collegio ribatte che «è erroneo ritenere che qualsiasi comportamento messo in atto da soccorritore purché finalizzato all'adempimento del dovere di soccorso in mare, divenga automaticamente impunibile in virtù dello stato di necessità o dell'adempimento di un dovere». Perché l'intervento sia giustificato deve esserci una «strettissima correlazione tra l'attività di soccorso e la richiesta di aiuto». E secondo i giudici quello di Mare Jonio non è stato un soccorso, ma un trasbordo di migranti che erano già in salvo. Un concetto che era già stato espresso da Malta alla richiesta di Mare Jonio di un porto sicuro.

Il Riesame presta attenzione al report dei medici di Mare Jonio sui migranti che tratteggia una situazione psico-fisica compromessa, tale da richiedere lo sbarco. L'autorizzazione fu concessa proprio «per ragioni sanitarie» poi smentite già dal medico Usmaf. «Senza dire scrivono i giudici che la donna inviata in ospedale con procedura Medevac fu subito dimessa per assenza di problematica sanitaria» e «non era in gravidanza». Il collegio dice anche che invece di effettuare il trasbordo e comunicarlo alle autorità a cose fatte, gli indagati avrebbero dovuto supportare la nave danese con le dotazioni in possesso che bastavano per 100 persone, così che fosse la Maersk a chiedere un porto sicuro all'Italia. Ad avallo di ciò ricorda come la Suprema Corte «abbia confermato la condanna per guida senza patente o con patente revocata nei confronti di chi si prodighi, guidando senza abilitazione, per chiamare un medico in soccorso di un ammalato, ove non sia dimostrata l'impossibilità di ricorrere a mezzi leciti per provvedere al soccorso». Invece gli indagati hanno operato «in aperta violazione dei divieti dell'autorità marittima nazionale» che sono «visti come un ostacolo da superare con condotte elusive e penalmente rilevanti».

Non sfugge ai giudici l'anomalia del bonifico di 125mila euro in favore non della Ong ma della società armatrice di Mare Jonio, la Idra social shipping. La norma di diritto internazionale parla di «gratuità del soccorso in mare in caso di pure life salvage» scrive il collegio e se questa viene meno, come emerso dalle indagini, «il dovere di soccorso si spoglia del suo connotato di obbligo di legge nazionale e/o sovranazionale» e diventa un atto privatistico «non coperto da impunità». Insomma, altro che inchiesta «basata sul nulla» come dice Casarini.

Su quanto ravvisato dal procuratore capo di Ragusa, Fabio D'Anna, il tribunale del Riesame concorda perfettamente.

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