Il «me ne frego» di Gigino Di Maio alla proposta fare fronte comune con il Pd alle prossime Regionali arriva forte e chiaro dal Marocco, dove ieri era in tour: «Non me ne importa nulla di parlare di coalizioni o altro, non importa agli italiani. È un dibattito che sta stancando i cittadini. Si parla di coalizioni, di accordi: invece credo che dobbiamo concentrarci sugli obiettivi».
L'occasione per mandare a quel paese il Pd, con cui pure ha fatto fronte comune a Roma per restare al governo, gli viene offerta dall'astuto Pierluigi Bersani, che ieri aveva provato a sedurre il capo grillino proponendo addirittura una «costituente» in cui fondere il Pd con i Cinque stelle (con l'aggiunta fondamentale della sua Leu), onde fermare il salvinismo e salvare l'Emilia Romagna, una Regione - dice - «che vale più del governo».
I sondaggi segnalano la necessità di allargare il fronte per resistere all'ondata di destra, e il governatore dem Stefano Bonaccini ha aperto ai Cinque stelle, sia pur con molta cautela perché «le alleanze fatte solo per battere gli avversari non mi troveranno mai d'accordo». E quindi prima di creare una coalizione bisogna «verificare se ci siano o meno convergenze sui programmi. Se non ci sono, arrivederci e amici come prima».
Ma Di Maio di programmi o coalizioni non vuol neanche parlare. Anzi, sussurrano alcuni parlamentari ormai sul piede di guerra, «Luigi vuole che il centrosinistra perda l'Emilia. Così come ha voluto scientificamente perdere l'Umbria: ha fatto una campagna elettorale anestetizzata, e iniziative solo in appoggio a due suoi protetti, per favorirli con le preferenze a discapito degli altri». Ma al di là delle beghe sulle cordate interne, il sospetto dell'ala filo-Pd dei grillini è che Di Maio voglia fare un «regalo a Salvini»: «la testa di Conte su un piatto d'argento». La débâcle in Emilia Romagna, infatti, terremoterebbe il Pd e l'attuale maggioranza di governo, aprendo la strada alle elezioni anticipate vagheggiate dal capo della Lega. In cambio, Di Maio si libererebbe della concorrenza interna del premier e sconfiggerebbe sanguinosamente i suoi avversari interni filo-dem, come Roberto Fico (e indirettamente Beppe Grillo). E non solo si riguadagnerebbe un rapporto preferenziale con Salvini, suo primo amore politico, restando quindi nell'area di governo anche con il centrodestra ma otterrebbe anche un altro risultato non da poco, per un partito che si sta dissanguando elettoralmente. Il voto anticipato, infatti, bloccherebbe il «taglio dei parlamentari», la cosiddetta riforma voluta dai grillini, ma che ora rischia di penalizzarli più di tutti, decimando i loro gruppi parlamentari, e che quindi si vuole sventare.
Il tutto, dicono i boatos interni al M5s, con la silenziosa benedizione di Casaleggio junior, che ha ereditato il partito dal defunto genitore e che con la destra sovranista ha affinità elettive di vario genere, non solo ideale.
La risposta dei dem non si fa attendere: il segretario Nicola Zingaretti chiede agli alleati riottosi il rispetto dei patti, e fa annunciare che «nei prossimi giorni il Pd chiederà il ritiro o la modifica dei decreti sicurezza, così come stabilito nel programma di governo». Un messaggio a chi, dentro e fuori il partito (da Matteo Orfini a Emma Bonino) ha accusato il Pd di aver rinunciato, sull'altare del governo, alla battaglia contro la linea salvinista su sicurezza e immigrazione.
E un tentativo di recuperare appeal a sinistra, e di dare un profilo più riconoscibile al partito, in vista di un voto che si preannuncia decisivo, e che il centrosinistra dovrà affrontare contando solo sulle proprie forze, visto che l'alleato di governo gioca, a quanto pare, su due tavoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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