nostro inviato a Tunisi
Sulla porta un poliziotto in borghese sorveglia discretamente gli ingressi. Un'occhiata clinica, poi torna a fingere indifferenza. La cattedrale di San Vincenzo de' Paoli, immersa nella penombra, è semideserta in una mattinata di sole quasi estivo e di indiavolato traffico arabo. Il primo impatto è rassicurante e l'arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi, conferma l'impressione: «La Tunisia è un ponte fra l'islam e l'Occidente. È un paese piccolo ma credo che in questo momento possa costituire un modello se non di integrazione, almeno di rispetto reciproco».
Monsignor Antoniazzi scherza sulle sue origini: «Sono nato a San Polo di Piave, in provincia di Treviso, un paesino minuscolo ma oggi San Polo può vantare tre vescovi in tre continenti diversi: Nazareth, Treviso, il sottoscritto a Tunisi dopo una vita passata in Medio Oriente».
Dei tre forse è proprio lei a sperimentare la convivenza più rigida con l'islam. È giusto alzare la voce come hanno fatto i leader occidentali marciando per le strade di Parigi?
«Certo, avrebbero dovuto farlo prima. Semmai si può obiettare che sia stata una risposta parziale. Una commedia. Dove erano questi leader quando i cristiani venivano massacrati in Irak, in Siria e in altre parti del mondo? Ci vorrebbe una marcia per ogni strage».
Dopo la camminata ecco le nuove vignette: siamo tutti Charlie Hebdo?
«Errore. In Occidente non avete capito che qua, nei Paesi arabi, la divisione fra religione e politica non esiste».
Quindi?
«Se lei pesta il piede a un musulmano di Parigi sarà un musulmano nelle Filippine a dire ahi. Capisce?
Quei disegni sono una provocazione?
«La libertà ha dei limiti, come ha spiegato bene il Papa mostrando il pugno. Quei disegni offendono milioni di persone, dunque sono altra benzina sul fuoco, a causa di quelle vignette alcune persone sono state uccise in questi giorni».
Allora, dobbiamo inchinarci all'arroganza di chi non capisce le sfumature sottili della nostra civiltà?
«No, dobbiamo avere rispetto. Di noi stessi e degli altri. Ma soprattutto della nostra storia, dei nostri valori, di ciò in cui crediamo se ancora crediamo in qualcosa».
Lei che rapporto ha con le autorità tunisine?
«Qui, dopo la rivoluzione, hanno vinto i Fratelli musulmani. Bene, il presidente Marzouki, un integralista per i parametri occidentali, mi ha invitato a pranzo cinque o sei volte e per Pasqua, in segno di rispetto, mi ha inviato un biglietto di auguri in cui ricordava la gloriosa resurrezione di Cristo. Naturalmente, questo non cancella i limiti che mi sono imposti. Le campane di questa cattedrale non suonano da cinquant'anni. Il proselitismo è vietato, andare in giro per Tunisi vestito da vescovo sarebbe inimmaginabile, ma a me tocca seminare e testimoniare l'essenziale: Gesù Cristo. Altri raccoglieranno i frutti».
La Tunisia sopravviverà all'alta marea del fanatismo?
«Marzouki si è fatto da parte complimentandosi con il laico Essebsi che lo ha appena sconfitto. È un segnale di speranza per tutti noi».
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