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Tra i litiganti rispunta Fico il movimentista istituzionale

Grillino ortodosso filo-Pd, il presidente della Camera piace alla base. E ora ammonisce: "Basta verticismo"

Tra i litiganti rispunta Fico il movimentista istituzionale

E dire che persino gli amici lo avevano messo in guardia, ai tempi della sua elezione a Presidente della Camera, ormai due anni e mezzo fa. «Quel posto porta sfortuna se vuoi fare politica», dicevano. Con riferimento alla resistibile parabola di alcuni ex illustri occupanti dello scranno più alto di Montecitorio. Scomparsi dai radar dopo il prestigioso incarico. Gianfranco Fini su tutti. Ma anche Fausto Bertinotti, Luciano Violante o Irene Pivetti. E però il grillino Roberto Fico ha smentito i profeti di sventura. In un momento in cui il vascello dei Cinque Stelle naviga in acque a dir poco tempestose, lui è più centrale che mai. Movimentista ma responsabile. Scapigliato e istituzionale. Saggio ma radicale. Pochi gli inciampi in questi anni da terza carica dello Stato, nulla se si esclude la vicenda della colf in nero rivelata dalle Iene ad aprile del 2018. Ed eccolo emergere dall'anonimato della figura di garanzia il giorno dopo il tonfo alle elezioni regionali.

Mentre Luigi Di Maio festeggia la vittoria al referendum e Alessandro Di Battista spara a palle incatenate contro tutti, lui ammette la sconfitta senza trascendere nella polemica. «Abbiamo perso» si batte il petto. Ma nessuna «guerra tra bande», avverte. E infatti diserta l'assemblea di ieri. L'orizzonte sono gli «Stati Generali permanenti», «un grande momento di riflessione». Fico martedì ha smosso le acque con una conferenza stampa tutta politica, inusuale per un presidente della Camera senza sbavature. E anche questo è un segnale del momento molto difficile che sta attraversando il M5s. Infatti Fico replica dopo nemmeno 48 ore. «Credo che la spaccatura del Movimento non ci sarà - dice a Radio24 - Ogni volta che il M5s vive momenti periodi difficili poi alla fine l'importante è sedersi intorno a un tavolo». Per Fico «quello che deve prevalere non è l'interesse personale ma il bene del M5s, il che oggi significa anche fare bene al paese». Quindi la critica: «I problemi che abbiamo oggi frutto di un verticismo troppo spinto che c'è stato in un periodo». E l'indicazione per «un organo collegiale» al vertice dei Cinque Stelle.

Magari sarà anche per via del suo ruolo istituzionale, eppure dalla casa grillina in fiamme nessuno gli replica avvelenato. Né esplicitamente, né nascondendosi dietro le allusioni. Anzi gli attestati di stima si sprecano. C'è chi lo vede candidato sindaco di Napoli la prossima primavera. Chi vuole per lui un ruolo importante nella nuova struttura politica del Movimento. Di sicuro piazzerà suoi uomini all'interno del direttorio, intanto ripete di voler continuare a fare il presidente della Camera. Una situazione molto diversa rispetto ai giorni della formazione del governo gialloverde, che a Fico non è mai piaciuto, quando veniva dipinto come l'animatore esagitato della fronda degli «ortodossi» contro il pragmatismo incarnato da Di Maio. Quello che di lì a poco sarebbe diventato la terza carica dello Stato era percepito come un personaggio divisivo più che ecumenico. Anche la cravatta era una rarità. La barba fioriva disordinata. Ora invece potrebbe mettere d'accordo tutti. Perché è sicuramente a favore della continuazione dell'esperienza di governo con il Pd, ma al contempo è capace di rappresentare la scintilla primigenia del grillismo. Senza dimenticare la pronta levigazione delle asprezze estetiche di cui sopra. La barbetta è incolta, ma più curata, i capelli sono corti e dal taglio maggiormente sobrio, oltre che ingrigiti rispetto ai primi anni di militanza e agli esordi in Parlamento della scorsa legislatura. Fico indossa la cravatta e non prende più l'autobus. Il presidente della Camera rimane comunque un militante storico. Tra i primi a seguire Beppe Grillo, in un percorso quasi messianico per pochi eletti. Così è nel 2005, quando Fico comincia a fare politica durante le riunioni del Meetup «Amici di Beppe Grillo» di Napoli. Non a caso, durante la conferenza stampa dell'analisi della sconfitta alle regionali, parla di cavalli di battaglia delle origini in grado di scaldare i cuori degli stellati disorientati. Acqua pubblica, riforma della Rai, salario minimo. Il tentativo è di individuare una piattaforma comune in un M5s dilaniato.

Nel frattempo Di Maio e Dibba continuano ad accapigliarsi.

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