I magistrati s'insultano in rete su ferie e numero di processi

S'infiamma il clima in vista del referendum. I promotori del voto, tra cui l'ex pm Davigo, contro chi vuol disertare le urne: «Craxiani qualunquisti»

I magistrati s'insultano in rete su ferie e numero di processi

«Craxiani!». Alla fine, nella girandola di contumelie che agita la magistratura italiana, qualcuno lancia l'anatema. Oggetto del contendere, la dolorosa questione dei carichi di lavoro. Un referendum fissato per il prossimo weekend dovrebbe portare - nelle intenzioni dei sostenitori, tra cui Piercamillo Davigo, il «Dottor Sottile» del pool Mani Pulite - a fissare un tetto massimo al lavoro che si può pretendere dal singolo magistrato, un numero di processi e di sentenze raggiunto i quali ogni toga sia autorizzata a tirare il fiato. Idea fuori dal mondo e fuori dal tempo, secondo altri magistrati; impraticabile, secondo altri. Così molti - tra cui il procuratore di Torino Armando Spataro - annunciano la loro intenzione di disertare le urne. E contro di loro piomba l'insulto finale dei referendari, che li paragonano al leader socialista che nel 1991 invitò gli italiani («andate al mare») a boicottare il voto sulla legge elettorale: «scelta qualunquista, craxiana e non democratica», tuona su una delle mailing list interne alla magistratura uno dei sostenitori del referendum, il giudice di Torre Annunziata Giovanni Favi.I referendum sono stati lanciati da Altra Proposta, una nuova corrente di magistrati, etichettata come «grillina» avendo mutuato prassi e toni dei 5 Stelle, e hanno raccolto la adesione e l'appoggio di Autonomia e Indipendenza, altra nuova corrente, fondata e presieduta da Davigo. Quattro i quesiti, tutti nel segno della difesa irriducibile della categoria togata: e a fare discutere è il numero 3, che chiede al Csm di «introdurre entro 60 giorni i carichi esigibili, da intendersi come misura, determinata in cifra secca, del lavoro sostenibile dal magistrato». Gergo a parte, la convinzione è che i giudici italiani lavorino già troppo, e che vadano in qualche modo protetti dalle pretese di produttività dei loro capi. «Carichi di lavoro di fatto insostenibili», «notorio superlavoro della stragrande parte dei magistrati dei magistrati italiani», si legge in un comunicato dei davighiani.La proposta del referendum ha lacerato la categoria, dando vita a un dibattito di asprezza senza precedenti, che vede spiazzate le correnti tradizionali, con la sinistra di Area che si spacca tra astensione e voto contrario. C'è chi come Claudio Castelli, esponente storico di Magistratura democratica, definisce garbatamente il «carico massimo esigibile» «una scorciatoia illusoria», e chi come il modenese Marco Imperato lo liquida come «una boiata pazzesca»; e la collega Milena Balsamo gli risponde a brutto muso, «ma con chi credi di parlare?». Nello svolazzare di scortesie c'è chi (con scarso successo) cerca di riportare tutti alla realtà e al buon senso: come il pm romano Mario Ardigò, «non ci salveremo da soli curando solo i nostri interessi», «sulla questione delle ferie non siamo stati colpiti in quanto magistrati ma come beneficiari di una sacca di privilegio sconosciuta agli altri impiegati civili dello stato»; o Francesco Caruso, presidente del tribunale di Reggio Emilia, che scrive testualmente: «Questa magistratura che indice un referendum per chiedere di fissare un limite al lavoro da svolgere e quindi alla giustizia da dare e alla legalità da assicurare, incurante dello sfascio che potrebbe derivarne, è inevitabilmente finita come ordine autonomo e indipendente».

Ma in cambio riceve una serie di improperi tali (la Balsamo evoca persino «quella magistratura che va a braccetto con la politica o con i delinquenti») che gli cascano le braccia: «ai fanatici chiedo solo la cortesia di lasciare perdere», scrive Caruso. Insomma, meno male che la discussione avviene per mail e non di persona: altrimenti chissà come andrebbe a finire.

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