
Non c'è solo l'impronta 33 al centro delle nuove investigazioni sul caso Garlasco. In particolare, sulle due pareti che costeggiano le scale per la cantina-taverna di casa Poggi, là dove - verso il basso - è stato trovato il corpo di Chiara, c'erano altre sei tracce «palmari» mai identificate. Si aggiungono alla numero 33, che oggi i consulenti della Procura attribuiscano all'attuale indagato Andrea Sempio, trovata a suo tempo sulla parete dove giaceva il cadavere ma priva di residui ematici (la difesa dell'amico di Marco Poggi effettuerà probabilmente una propria consulenza sul reperto). Gli stessi esperti incaricati dai pm hanno provato a dare un nome alle altre sei impronte, senza però riuscirci: restano ignote.
Queste impronte di mani tornate alla ribalta sono citate nella consulenza tecnica firmata da Gianpaolo Iuliano e Nicola Caprioli, rispettivamente esperto del Ris e dattiloscopista forense. Sono state ritenute tutte «comparabili» ma non utili per una identificazione. Cosa significa? Spiegano gli scienziati che «un frammento di impronta digitale/palmare» è comparabile quando, «sebbene non abbia tutte quelle caratteristiche necessarie per addivenire ad una piena identificazione, potrà comunque essere utilizzato in un confronto dattiloscopico con le impronte di soggetti noti» per «poter escludere con certezza l'appartenenza dell'impronta comparabile al soggetto stesso». Infatti così è stato. Con un lavoro di «esclusione» è stato stabilito che quelle sei impronte non sono di Sempio, né di Alberto Stasi, né dei familiari della 26enne uccisa, né di Stefania Cappa, né degli amici del fratello della vittima che frequentavano la casa. Il medesimo procedimento è stato seguito per le tracce «digitali» trovate sulla superficie esterna e interna del portone di ingresso della villetta, cinque in tutto ancora da identificare. Neppure a queste la nuova consulenza ha potuto dare un nome, ma sono state usate per escludere le persone note nell'indagine. Escluso pure qui il «match» con Sempio, Stasi e tutti gli altri nomi considerati. «Gli esiti ottenuti - si legge nel documento - non hanno consentito di accertare alcun match di compatibilità tra le suddette tracce e tutti i già menzionati cartellini foto-segnaletici digitali e palmari inseriti». In quest'ultimo elenco c'è la traccia numero 10, quella su cui gli inquirenti hanno messo l'accento. È stata repertata sulla «superficie interna del portone di ingresso sull'anta mobile». Sarebbe di una «mano sporca», su cui all'epoca non venne fatta «alcuna indagine biologica» per accertare se ci fosse sangue. Gli accertamenti genetici sul reperto saranno però fatti nell'ambito del maxi incidente probatorio disposto dal gip, con l'analisi sui «paradesivi» che vennero usati per acquisire le impronte stesse. Nemmeno la traccia 10 - si ricorda - è attribuibile a Sempio o a Stasi. Sull'impronta 10, a ogni modo, i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano in un'informativa del 2020 scrivevano che, se si fosse accertato che è sporca di sangue, si poteva dire certamente che era dell'aggressore che si allontanava dalla «scena del crimine».
C'è un altro aspetto che viene (ri)messo in luce da Adnkronos. Per come è stato sempre ricostruito il delitto, l'assassino di Chiara dopo l'aggressione, avvenuta appena lei gli apre la porta di casa, ha le mani insanguinate (infatti andrà a lavarsi in bagno). La trascina fino alla cima delle scale per la cantina e si ferma sulla soglia. Da lì lancia il corpo verso il basso, senza scendere e quindi senza calpestare neppure un gradino di quelli dove verrà ritrovata la vittima. Perciò non ci sono impronte di scarpe insanguinate sulla scala, la suola intrisa si ferma appunto sulla soglia.
La scala ha 13 gradini e fa due curve, Chiara scivola per un po' verso la cantina. Si ferma con la testa sul nono gradino e il corpo sui gradini superiori. L'impronta 33, di Sempio, è stata trovata due gradini sopra il cadavere: dove l'assassino non è mai arrivato.
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