E adesso? I primi a guardarsi attorno incerti e smarriti, a sette mesi dal voto europeo, sono il candidato alla guida della Commissione di Bruxelles Manfred Weber, il Partito Popolare e tutti quei moderati europei che guardavano alla Cancelliera come al loro Kaiser. La rinuncia alla lotta per la guida della Cdu, decisa per evitare un'umiliante sconfitta, lascia sole e disarmate le sue truppe proprio mentre a sinistra avanzano i verdi e a destra crescono i populisti. Ma la scomparsa di un leader aiuta a volte a trovare nuove strade. In fondo i primi a non rimpiangere Angela Merkel non saranno i tedeschi, ma gli europei. Anche perché i danni più grossi in questi 13 anni non li ha patiti la Germania, ma l'Europa. La Brexit, l'economia asfittica dell'Eurozona, la crisi dei migranti, l'ascesa dei populismi, il ritorno ai sovranismi nazionali, lo scontro con i paesi di Visegrad sono tutta farina del suo sacco.
Il sacco zeppo d'errori d'una Cancelliera che in tredici anni ha distrutto le fondamenta dell'Unione spingendo nazioni e popoli a riscoprire antiche rivalità. Il tutto mentre la Ue, consegnata ad un'elite di burocrati fedeli alle politiche di Berlino ha dissanguato i ceti medi e trasformato in nuovi Creso le grandi multinazionali. Per non parlare di quell'austerità che ha bloccato la crescita dell'Eurozona e su cui la Merkel si è impuntata nonostante le critiche arrivatele dagli Usa e da tanti economisti durissimi nel rinfacciarle la sofferenza dei mercati di fronte all'assenza di manovre espansive. Ma se l'austerità è la colpa originale l'accoglienza fuori controllo dei migranti è il suo il peccato capitale. La Merkel lo commette nell'agosto 2015 quando impone alla Germania e all'Europa, di aprire le porte ad un milione e passa di disperati. Di fronte a quell'invasione e a quello scempio della sovranità nazionale la Merkel non sa far di meglio che condannare chi tenta di resisterle e di opporsi ai suoi errori. Il sovranismo, il populismo e la Brexit sono tutti figli di quei mesi di confusione. Mesi in cui una Cancelliera autopromossasi a zarina dell'Europa denuncia come egoistiche e antidemocratiche le mosse dell'Ungheria e di quei paesi di Visegrad decisi a bloccare alle frontiera i migranti. In quei mesi prendono corpo anche i prodomi della Brexit. Mentre il 77% dell'opinione pubblica inglese è terrorizzata dall'afflusso di manodopera straniera e diffida dei tentativi di Bruxelles di ridimensionare le sovranità nazionali la Merkel si rifiuta di dar ascolto al premier inglese David Cameron che le chiede un passo indietro sull'immigrazione e sulla liberta di movimento per i lavoratori della Ue. E così mentre la Merkel volta la testa dall'altra parte Londra ci dice addio.
Proprio dallo svarione sui migranti prende il via la crescita fuori controllo di quei movimenti populisti nati per opporsi agli errori della Cancelliera. Le dinamiche elettorali tedesche sono, da questo punto di vista, la miglior dimostrazione delle colpe della Merkel. Mentre alle europee del 2014 la destra euroscettica tedesca non supera lo sbarramento del cinque per cento oggi, a tre anni dall'apertura delle porte ai migranti, l'Afd non solo naviga intorno al 12 per cento in Baviera ed Assia, ma promette di continuare a crescere. Il tutto mentre a sinistra la marea verde travolge e ridimensiona i socialisti alleati della Merkel. La Cancelliera insomma è stata una calamità per l'Unione, ma paradossalmente il merito di averla fermata e messa con le spalle al muro è solo degli elettori tedeschi. Ora però la strada è aperta e per i moderati europei la scelta, anche se non è semplice, è sicuramente chiara.
Per rianimare l'Europa e togliere propellente alle carovane verdi e populiste non basta soltanto cancellare il faccione di Angelona. Bisogna innanzitutto sanare le ferite causate dai suoi errori. E convincersi che la sua fine è, in fondo, anche una liberazione.
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