Beirut Il titolo, Peace to Prosperity, promette grandi cose, ma la conferenza internazionale che comincia oggi a Manama, in Bahrein, è partita azzoppata, e senza alcuni dei protagonisti decisivi. Era stata ideata per lanciare la parte economica del tanto atteso «accordo del secolo», il piano di pace voluto da Donald Trump e dal suo genero e consigliere Jared Kushner. Il piano è rimasto incagliato nelle crisi di governo ed elezioni a ripetizione in Israele, dove si voterà di nuovo il 17 settembre, e soprattutto nel no irremovibile del presidente palestinese Abu Mazen.
E quella dei palestinesi, in teoria al centro del piano, è l'assenza più vistosa. Mancano però anche player, a cominciare da Russia e Unione Europea che invierà solo dei funzionari, e molti Stati arabi, Irak, Siria, Libano, Algeria fra gli altri. Ci saranno però i giornalisti israeliani, per la prima volta ammessi nel piccolo regno del Golfo. Per la Casa Bianca, che non demorde, in ogni caso l'incontro «faciliterà le discussioni per un futuro prospero per il popolo palestinese e la regione». Il piano prevede un investimento da 50 miliardi di dollari per i palestinesi e gli Stati arabi vicini: 6,3 miliardi di dollari per i palestinesi in Libano, 27,5 per Cisgiordania e Gaza, 9,1 per l'Egitto e 7,4 alla Giordania.
La Casa Bianca ha precisato che il piano sosterrà le piccole imprese, lancerà turismo, infrastrutture e agricoltura. Ma non prevede la nascita di uno stato palestinese, punto che ha spinto Abu Mazen a dare forfait. «Stanno cercando di trasformare l'intera questione da politica a economica e non lo accetteremo», ha spiegato l'83enne raìs, per una volta sulla stessa linea del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che ha ribadito: «Non venderemo la nostra coscienza per tutti i soldi del mondo».
Anche il premier palestinese Mohammad Shtayyeh è dello stesso parere. «Il piano economico è un'assurdità - ha accusato -. Non ho visto riferimenti alla fine dell'occupazione, agli insediamenti. Questa conferenza è solo la legittimazione dell'occupazione». I palestinesi rinfacciano a Trump di aver proclamato Gerusalemme capitale di Israele, aver tagliato l'assistenza umanitaria e non aver speso una parola contro gli insediamenti.
L'amministrazione americana ha precisato che la parte politica dell'accordo sarà presentata dopo le elezioni israeliane. Ma le perplessità restano in tutto il mondo arabo, anche fra gli alleati. Abdel al-Jubeir, ministro degli Esteri dell'Arabia Saudita, ha voluto precisare che «non si tratta di una conferenza politica ma di una conferenza sullo sviluppo economico». Il ministro degli Esteri del Qatar Mohammed al-Thani ha dichiarato che «appoggeremo il piano che i palestinesi sono disposti ad accettare. Nessun paese nel mondo arabo può accettarlo».
Perfettamente allineato con Trump e Kushner è invece il premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Questo non è il modo di procedere - ha ribattuto alla leadership palestinese -. Per quelli che dicono che Israele deve lasciare la valle del Giordano, dirò che ciò non porterà pace, ma guerra e terrore».
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