Roma - L'ultimo appello è quello del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. «Sono convinto che ci siano le condizioni affinché prevalga il senso di responsabilità nella politica economica italiana nei prossimi anni». Il numero uno di Palazzo Koch ieri ha spiegato in un'intervista al Tg3 che «non si può fare altro che continuare lungo un sentiero che è stato intrapreso, anche tenendo conto del limite importante che abbiamo sul fronte dei conti pubblici». Per ridurre un debito pubblico accumulato negli anni '70 e '80 rispetto al Pil, ha concluso, «da un lato è necessaria la crescita, forse da irrobustire, dall'altro non bisogna deviare dal sentiero dal contenimento delle uscite pubbliche e di un mantenimento delle entrate».
Si tratta di una riproposizione del monito lanciato direttamente al termine della riunione di primavera del Fondo monetario internazionale. Ma non si tratta di un'interferenza nella tormentata attualità politica ma di un avvertimento molto stringente tanto ai Cinque stelle quanto alla Lega. Di recente tanto l'Fmi quanto l'Ocse hanno sottolineato la necessità per l'Italia di aumentare il prelievo fiscale sui beni mobili e immobili (reintroducendo l'Imu sulla prima casa e pensando a una patrimoniale) proprio per far diminuire un debito troppo elevato che a fine 2017 si avvicinava ancora pericolosamente al 130% del Pil. È chiaro che tanto il reddito di cittadinanza quanto la flat tax visti con gli occhi del direttore generale dell'Fmi, Christine Lagarde, quanto con quelli del presidente ella Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, siano ritenuti alla stregua di promesse elettorali irrealizzabili. Ecco, Ignazio Visco ha semplicemente consigliato di desistere da quei propositi per evitare entrate a gamba tesa che potrebbero limitare la nostra autonomia.
Il governatore di Bankitalia non è da solo. Recentemente il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha auspicato che non si baratti con l'Ue «un qualche decimale di flessibilità» perdendo terreno sulle «strategie in chiave europea». L'invito degli imprenditori è quello a formare un governo che non spinga troppo sul deficit ma sappia negoziare. D'altronde, agli imprenditori interessa in primo luogo l'abbattimento del cuneo fiscale sul lavoro e, in secondo luogo, il mantenimento degli incentivi sugli investimenti sulla falsariga di «Industria 4.0». Tutto il resto è superfluo.
Ecco, dunque, che comincia a intravedersi in queste prese di posizione il «governissimo» tanto gradito all'establishment pronto ad accettare tal quale il quadro tendenziale del Def approntato dal ministro dell'Economia Padoan (ma non ancora pubblicato). Dopo il +1,6% stimato per il 2018 il Pil è previsto in rallentamento nei prossimi anni per effetto delle clausole di salvaguardia su Iva e accise, una scelta che garantirebbe quegli equilibri che una superpatrimoniale destabilizzerebbe.
Se arrivasse un simile esecutivo, il responso delle urne sarebbe da considerarsi archiviato. Anche il riferimento stizzito del presidente emerito Napolitano ai «troppi esclusivismi» e alle «troppe pretenziosità» non lascia ben sperare.
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