«Fine processo mai», protestano all'unisono opposizioni e alleati di governo. Eppure nonostante le barricate prima della Lega e ora di Pd e Italia Viva, domani entra in vigore la riforma della prescrizione voluta dal ministro Alfonso Bonafede. Dal primo giorno del nuovo anno la clessidra della giustizia si fermerà dopo la sentenza di primo grado sia in caso di condanna che di assoluzione: la nuova norma non si applicherà ai processi in corso ma a quelli per i reati commessi in seguito alla sua entrata in vigore. Pertanto i primi effetti, fanno notare dal M5s, si vedranno tra tre o quattro anni.
Per questo c'è tutto il tempo, secondo il premier Giuseppe Conte, di trovare un accordo che velocizzi i processi e soprattutto che risolva i contrasti di una maggioranza spaccata, sull'orlo della crisi. Le posizioni restano lontane. Il ministro grillino non retrocede da quella che considera una battaglia storica sua e del M5s, bollata come «un orrore» dai renziani, e come «una norma sbilenca» dai dem, che hanno già presentato una propria proposta di legge per tentare di disinnescarla.
La legge di Bonafede era contenuta nel pacchetto Spazzacorrotti approvato nel 2018 quando c'erano al governo M5s e Lega, ma la sua entrata in vigore era stata posticipata perché il Carroccio chiedeva contestualmente una riforma penale che tagliasse i tempi dei processi per evitare il rischio di un «ergastolo giudiziario». Ovvero, processi infiniti, quello che lamenta da mesi l'Unione delle camere penali per bocca del suo presidente Domenico Caiazza.
Il 7 gennaio un vertice di maggioranza dovrà affrontare il nodo. Conte confida di scioglierlo mediando con gli alleati sulla bozza di riforma del processo penale preparata da Bonafede. Ma se non si troverà la quadra i dem sono pronti ad andare allo scontro in Aula e votare il loro ddl appena presentato. Significherebbe aprire la crisi. I toni restano duri: «Ci vuole un po' più di buona volontà, soprattutto da parte del ministro» avverte il dem Graziano Delrio. Walter Verini, responsabile Giustizia del Pd, si augura «che Bonafede si muova dalla sua rigidità e che il presidente del Consiglio si adoperi per trovare una sintesi». Sulla prescrizione il governo «rischia grosso», avvisa il renziano Ettore Rosato: Italia viva è pronta a «votare il testo di Forza Italia». Il testo è quello dell'azzurro Enrico Costa che abroga la riforma Bonafede e rischia di affossare anche il governo. Per questo, dice Nicola Fratoianni (Leu), «chiederemo una soluzione condivisa». Una soluzione obbligata per evitare scossoni che metterebbero a rischio l'esecutivo.
Sono anche autorevoli magistrati ad aver sollevato dubbi sui rischi insiti nella nuova norma non accompagnata da un intervento sulla macchina giudiziaria. L'ultimo è l'ex procuratore capo di Torino Armando Spataro: «Bisogna arrivare a sentenza, ma prevedere un tempo infinito per i processi non va bene».
Conte difende la legge, tuttavia ammette «il rischio per il sistema di andare in difficoltà se non si introdurranno dei meccanismi di garanzia».
Se è vero che gli effetti si vedranno tra qualche anno, considerando i dati del ministero della giustizia del 2018, potrebbero essere circa 30mila i processi in più che ogni anno che con lo stop della prescrizione potrebbero non arrivate a conclusione: i procedimenti penali prescritti in Corte d'appello e Cassazione sono stati infatti 29.862. Numero che potrebbe crescere visto il potenziale maggior carico di lavoro per le Corti d'appello.
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