Con i rapiti liberati vittoria per Israele. L'assist dei sunniti

L'obiettivo: riavere gli ostaggi. Il ritiro da Gaza sarà graduale. Coalizione anti Iran

Con i rapiti liberati vittoria per Israele. L'assist dei sunniti
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Il mondo in questi ultimi giorni si è molto impegnato per cercare la pace, ma anche per fare la guerra: da una parte l'amministrazione americana e quella israeliana, insieme a ben otto Paesi musulmani, ce l'hanno messa tutta per portare Hamas ad accettare la proposta di pace che Trump e Netanyahu hanno presentato insieme. E in parte, ce l'hanno fatta, con minacce e promesse. Il titolo è prima di tutto la liberazione degli ostaggi, cui seguono ancora i venti complessi punti che Hamas ha rimesso tuttavia in discussione. Ma quello era il punto centrale, e il resto adesso è sul piatto. Almeno si parla di pace.

Dall'altra parte, invece, nelle stesse ore in cui si cercavano di punti di equilibrio, una massa folle e violenta sbraitava in tutta Europa contro Israele, gli ebrei, sullo stop a una Flotilla la cui ambizione era il fiancheggiamento di Hamas, la peggiore organizzazione terrorista. Nelle ore dello Yom Kippur e della trattativa, un attacco antisemita alla sinagoga di Manchester, ha ucciso due ebrei diretti alla preghiera più santa. Da tempo nessuno fra i Paesi arabi coinvolti nella complicata definizione dei rapporti fra Israele e la conclusione della sua guerra di difesa ha parlato di "genocidio"; invece lo hanno fatto senza tregua le folle in piazza; nessuno, in Arabia Saudita, ha varcato la soglia di decenza per cui interrogati durante le manifestazioni, alcuni ragazzi italiani hanno dichiarato di non volere la liberazione degli ostaggi perché israeliani. L'accordo rivisto che in queste ore viene discusso al Cairo con israeliani, arabi, americani mentre Hamas cerca di ridurne la portata, è comunque, oggi, buono in quanto esiste. Se ne discute in modo attivo e responsabile, alla faccia della confusione estremista e violenta di un mondo avvilito dall'ignoranza della folla che sventola bandiere palestinesi chiedendo la distruzione di Israele e degli ebrei.

In queste ore, il mondo è spaccato in due: chi cerca la pace, e chi sbraita. Nella trattativa, si vedrà che Hamas cerca di corrodere i tempi della riconsegna degli ostaggi, e che mira ai pilastri della posizione israeliana ferma sull'eliminazione del potere terrorista da Gaza, e quindi sul suo disarmo. Non si sa come si concluderà. Ma già la discussione in atto è una garanzia del rapporto fra Trump e Israele: solo la destrutturazione di Hamas permette la pace, e la possibilità di un futuro per il Medioriente, con Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Egitto, persino l'Indonesia con Israele; solo sullo sfondo figura l'idea di una presenza palestinese, ma mondata dal terrorismo, e anche l'Autonomia, deve subire una deradicalizzazione mentre si disegna, ancora vago, un gruppo tecnocratico; Israele deve ritirarsi solo per stadi legati alla restituzione dei rapiti e della resa di Hamas. Questo si discute al Cairo, e gli incontri possono portare lontano o bloccarsi. Nel secondo caso, è chiaro che Israele non potrà fermarsi, ma è anche evidente ormai che non punterà a ripulire Gaza completamente: sarà una soluzione possibile, e questo significa sicurezza per Israele. Il processo intrapreso da Israele, Usa, Paesi musulmani, è buono comunque. È rassicurante che il mondo sunnita si coalizzi di fatto contro il vecchio nemico: l'Iran, che vuole tornare protagonista dopo che il primato gli è stato rubato dall'attacco congiunto americano-israeliano e spinge perciò Hamas a restare in guerra.

Se Hamas dovesse ubbidirgli, tornerebbero anche Hezbollah, l'Iran, la Siria e l'Iran saranno di nuovo campi di battaglia e così lo Yemen, Israele esploderebbe di attentati terroristici. In questo caso, che cosa farà Trump è tutto da vedere. E resta una domanda: è questo che la piazza pro Pal vuole? E questo il prezzo che pagherebbe volentieri pur di assediare Israele?

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