I rosiconi della felicità (altrui)

La verità è nella "meraviglia della fragilità che ci dice chi siamo", questi ragazzi che non cercano il successo ma la testimonianza disturbano chi sogna la tirannia dell'impulso compulsivo

I rosiconi della felicità (altrui)
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Che fastidio dà una felicità vestita di sacro? La sonnacchiosa e semi deserta Roma agostana già immortalata da Carlo Verdone è sembrata quasi disturbata dall'ondata gioiosa dei Papa boys, qualcuno sui social ha voluto manifestare il proprio disappunto per questi ragazzi che hanno pacificamente invaso la Capitale facendo "casino". E così qualcuno ha ritirando fuori vecchi arnesi tipo "lo Stato laico", si invoca la polizia che non fa nulla, qualcun altro è arrivato persino a definirli "cattobulli" perché alle facili scorciatoie della libertà c'è qualcuno che si ostina ad aggrapparsi anche a una Verità, con la maiuscola, e questo dà fastidio.

Eccolo, il "nichilismo banale" di cui parlava Robert Spaemann con Benedetto XVI, un sentimento arido impermeabile persino all'auspicio di Papa Leone XIV: "Contagiate chiunque incontrate col vostro entusiasmo e con la testimonianza della vostra fede". La verità è nella "meraviglia della fragilità che ci dice chi siamo", questi ragazzi che non cercano il successo ma la testimonianza disturbano chi sogna la tirannia dell'impulso compulsivo, il desiderio creativo e distruttivo emancipato dal sacro dei pasdaran del transumanesimo post-cristiano che si nutre di cultura della morte, che sia l'aborto o l'eutanasia. Ciò che nella sua Genealogia della morale Friedrich Nietzsche chiamava la "bionda belva". E non è un caso che il filosofo tedesco avesse in odio sant'Agostino, nume tutelare di questo Pontificato, da lui considerato una specie di plebeo perché allo spirito preferiva l'uomo. Vedere milioni di ragazzi che si abbeverano alla fonte di Cristo, "con una sete grande e bruciante che nessuna bevanda può estinguere", per dirla con Papa Prevost, ci restituisce la speranza in una nuova generazione, ancora difficile da omologare e da interpretare. Sono ragazzi "assetati, inquieti, incompleti, desiderosi di senso e di futuro", come da felice definizione di Bergoglio rilanciata ieri davanti a una distesa di anime.

Ma al tempo stesso questo malessere ci restituisce un disagio che cova, un risentimento privato figlio di un bombardamento isterico di modelli sbagliati e irraggiungibili: da qui ciò che i greci chiamavano aticofilia, una passione sfortunata per l'infelicità altrui, il disprezzo per chi è "malato" di vita. La sintesi migliore è del ministro per la Famiglia Eugenia Roccella: "Non li hanno visti arrivare".

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