I "soldati del pallone" obbediscono al Sultano L'Uefa si sveglia ma apre (solo) un'inchiesta

Niente deferimento. E il Real Madrid non vuole andare a Istanbul martedì

I "soldati del pallone" obbediscono al Sultano L'Uefa si sveglia ma apre (solo) un'inchiesta

La propaganda turca ruota più che mai attorno a una sfera di cuoio. Le immagini del nuovo saluto militare dei calciatori al Saint Denis, dopo il pareggio con la Francia, hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco, lasciando emergere una pericolosa e subdola connivenza tra sport e politica. Mentre Erdogan lancia l'offensiva contro i curdi, i calciatori della sua nazionale si comportano da soldati. Non si trovano al fronte, ma a Parigi, eppure il sostegno alla discutibile causa turca è totale.

Nella squadra di Gunes non si sono sottratti alla propaganda anche gli «italiani» Demiral (Juve) e Calhanoglu (Milan), mentre Under (Roma) ha optato per un tweet di sostegno (saluto militare in maglia giallorossa), un po' per convinzione e in parte per opportunismo. Anche se alla fine tutti se ne escono fuori con affermazioni radiocomandate da Ankara: «Potevamo esserci noi al loro posto. Siamo un popolo unito. Il sostegno è alla lotta al terrorismo», ha raccontato ai cronisti il centrocampista Mahmut Tekdemir dopo la sfida contro i transalpini. È lui a raccogliere il pensiero della squadra, forse perché gioca nell'Istanbul Basaksehir, club guidato dall'imprenditore Goksel Gumusdag, genero di Hasan Gulbaran, fratello della moglie di Erdogan, Emine, e da Ahmet Ketenci, figlio di Osman, suocero di uno dei figli di Erdogan, accusati di aver riciclato denaro per conto del presidente turco. In estate a rinforzare la squadra arriverà anche l'ex campione del mondo Mesut Ozil, tedesco di passaporto, ma turco di origini e grande estimatore dell'Erdogan pensiero.

Lo sport dovrebbe rimanere a distanza di sicurezza dalle vicende politiche, semmai cucire strappi e stimolare le diplomazie. Nel caso della Turchia si viaggia a senso unico, oppure si rischia una vita in esilio. Come è accaduto all'ex centravanti Hakan Sukur, in Italia con le maglie di Torino, Inter e Parma, oggi costretto a vivere in California (e con un mandato di cattura che pende sul suo capo) per essersi messo di traverso a Erdogan. Sukur invoca democrazia e denuncia da tempo immemore la corruzione che scorre a fiumi nel partito Akp. Dalla sua parte c'è anche la stella del basket Nba, e dei Boston Celtics, Enes Kanter, che non può più rientrare a Istanbul, dove per inciso la sua famiglia è quasi tutta in carcere. «Colpiscono loro per punire me - confessa - e questa non è dittatura vigliacca? In Turchia la democrazia non è gratuita».

A Parigi l'establishment politico ha censurato in maniera unitaria l'atteggiamento della squadra della mezza luna. L'Uefa, il massimo organismo del calcio europeo, ha aperto un'indagine per provocazione politica, ma non si parla ancora di deferimento.

La finale di Champions del 30 maggio 2020 allo stadio Ataturk è lontana, ma ci sono impegni ravvicinati che non possono essere trattati con leggerezza. Martedì il Real Madrid è atteso nella tana del Galatasaray. Le merengues hanno chiesto una sede diversa, ma da Nyon nessuno vuole fare il primo passo.

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