
È come un gioco dell'Oca... Amara. I veleni sparsi in Italia dall'ex legale dell'Eni Piero Amara, (oggi in cella per una pena residua a Spoleto) coinvolgono una decina di Procure: da Siracusa a Perugia passando da Catania, Messina, Reggio Calabria, Roma, Brescia, Firenze e Terni. Con prescrizioni à la carte, Amara resta a galla e le sue accuse affondano.
Andiamo con ordine: nel 2016 alcuni sostituti della Procura di Siracusa dicono a Messina che Amara, assieme al legale Giuseppe Calafiore e al pm Giancarlo Longo, aggiustano le sentenze. Nel 2022 arrivano le condanne, Longo patteggia e lascia la magistratura, Amara diventa una gola profonda e viene risparmiato, anche grazie a una prescrizione «anticipata» decisa a Messina ma frutto di una «oggettiva illiceità di alcune condotte», sentenzierà recentemente il gip di Reggio Calabria, senza che questo porti ad aprire altre inchieste. Con la fedina pulita e la nomea di oracolo, Amara (foto) si scatena con rivelazioni choc (molte delle quali mai dimostrate) mentre il suo presunto complice nei magheggi di Siracusa, l'ex aggiunto di Siracusa Giuseppe Toscano, prosciolto nel penale dopo l'abolizione dell'abuso d'ufficio, finisce per dover dare 100mila euro di tasca sua al consigliere del Csm Marco Bisogni (contrariamente alla legge 117/1988).
Intanto partono strali contro una serie di magistrati dello Stivale. C'è Luca Palamara, potente leader Anm a suo dire corrotto dal lobbista Fabrizio Centofanti. Intercettato e perquisito nel maggio del 2019 dalla Procura di Perugia guidata da Luigi De Ficchy per corruzione, reato poi archiviato dagli stessi pm perugini, Palamara verrà cacciato dalla magistratura per il solo fatto di aver partecipato ad un dopocena all'Hotel Champagne dove si discuteva chi potesse essere il successore di Giuseppe Pignatone.
La fuga di notizie da Perugia porterà ad un filone a Firenze ex articolo 11 del Codice di procedura penale. È solo con la decisione del Pg perugino Sergio Sottani che forse si capirà come hanno realmente operato i titolari delle indagini. Le intercettazioni della stessa famigerata cena, ricostruita da Alessandro Barbano nell'omonimo libro, finiscono subito sui giornali, i consiglieri di Unicost e di Magistratura Indipendente lasciano il Csm alle alle «toghe rosse» di Area e Md. La bufera che ne deriva infatti ribalta i verdetti dell'organo di autogoverno e decide i destini di Marcello Viola, che Palazzo de' Marescialli destinava a Roma al posto di Michele Prestipino (l'ex numero due della Dna oggi nei guai per rivelazione di segreto d'ufficio), viene dirottato a Milano e lì ci finisce Francesco Lo Voi.
Poi c'è la fantomatica Loggia Ungheria, una camera di compensazione tra grand commis del Deep State capace di orientare indagini e processi. Dentro ci sarebbero tutti: l'ex ministro Paola Severino, gli ex vicepresidenti del Csm Giovanni Legnini e Michele Vietti, una sessantina tra magistrati, forze dell'ordine, politici e imprenditori. Il processo contro questa ennesima calunnia inizia a Milano ma si trasferisce dopo pochi mesi a Brescia. Toscano chiede invano di processare Amara, presenta quattro esposti a Milano, Brescia e Roma, dove il pm dopo un anno senza indagare pur essendo atto dovuto, avendo ricevuto le carte da Milano, dichiara il reato prescritto con l'ok di Lo Voi ma il gip fissa un'udienza per il prossimo 18 giugno, con Toscano parte offesa. Reggio e Messina tacciono.
Gli schizzi colpiscono il pm romano Stefano Rocco Fava, amico di Palamara «colpevole» di voler indagare sul fratello dell'allora procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone (oggi indagato da Caltanissetta nell'inchiesta sulle stragi del '92-'93) e il pm napoletano Cesare Sirignano, trasferito dalla Dna dopo essere stato registrato a sua insaputa da un altro magistrato, Peppe Borrelli.
L'Amara considerato affidabile accusa i vertici di Eni, il pm milanese Fabio De Pasquale ci costruisce un processo farsa, il collega Paolo Storari scopre che nessuno indaga sulla fantomatica Loggia Ungheria, ne parla a Piercamillo Davigo che preferisce mascariare l'ex compagno di cordata al Csm Sebastiano Ardita, del tutto estraneo e finisce condannato in Cassazione a un anno e tre mesi.
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