Imane, archiviata l'inchiesta. Fine di un giallo mai esistito

Le sue ultime parole: "Temo mi abbiano avvelenata". Ma non è così. I pm: "L'ha uccisa una malattia rara"

Imane, archiviata l'inchiesta. Fine di un giallo mai esistito

Milano - La voce di Imane è stanca, segnata da lunghe pause, ma chiara. «É venuto il medico stamattina a dirmelo, che dai risultati sembra che qualcuno mi abbia avvelenata... Ma io lo sapevo già che volevano farmi fuori, che c'è un complotto nei miei confronti...». É una voce che viene dal passato, la voce di una morta, quella che ieri all'ora di pranzo risuona in una sala del tribunale di Milano. Il procuratore Francesco Greco ha deciso di rendere note le ultime parole di Imane Fadil, modella marocchina travolta dal caso Ruby dopo le sue presenze alle feste serali nella casa di Silvio Berlusconi. Sì, dice quel nastro: Imane, nei suoi ultimi giorni di agonia (la telefonata è del 12 febbraio, lei muore l'1 marzo) credeva di essere stata assassinata. Ma ieri Greco e i suoi pm rendono noto che Imane si sbagliava. A ucciderla non è stato il polonio nè l'arsenico nè alcun altra arma letale. L'ha uccisa una forma quasi senza scampo di aplasia midollare. Ieri mattina, poco prima di divulgare quel nastro al mondo, i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno avanzato formale richiesta di archiviazione dell'indagine per omicidio aperta sei mesi fa. Il fatto non sussiste. Il caso è chiuso.

Del tutto chiuso, a dire il vero, non è: perché subito dopo l'avvocato Mirko Mazzali, legale della famiglia, fa sapere che la perizia - cento pagine, prima firmataria il medico legale Cristina Cattaneo - non soddisfa i parenti di Fadil. Che non sia stata uccisa, possono alla fine accettarlo. Ma non accettano l'idea che non si potesse salvarla, se il male di cui soffriva fosse stato individuato per tempo e curato bene. E a ben leggere, su questo punto la perizia - che pure termina escludendo l'ipotesi di una colpa medica - qualche spunto lo offre, quando parla di scelte dei medici in parte corrette ma in parte «meno comprensibili», specie per non avere avviato l'iter per un trapianto di midollo. Ma la stessa perizia riconosce che l'organismo della giovane donna non era forse in grado di affrontare un simile percorso. E poi, dice Tiziana Siciliano, «di questa malattia ci sono cinquanta casi all'anno e quasi sempre letali».

Il dubbio che Imane Fadil si potesse salvare resterà per sempre. Resteranno le domande su come abbia contratto il male, «abbiamo cercato in tutti i modi di trovare una risposta ma non abbiamo trovato nulla», dice Greco. A svanire per sempre è invece l'altra ombra, la più lunga e insidiosa: l'ombra del delitto. Dopo l'annuncio-choc del 15 marzo dello stesso procuratore Greco, che due settimane dopo la morte della giovane donna rese noto il decesso spiegando che si indagava per omicidio volontario, sulla tragedia di Imane si è scatenata una ridda di dietrologie: non importava che la ragazza non fosse un teste chiave, nè che avesse già detto tutto quello che sapeva, e nemmeno che i giudici di Milano l'avessero estromessa dal processo. Dati che oggettivamente facevano parte dell'inchiesta - la presunta radioattività, i metalli pesanti, i sospetti di avvelenamento - sono stati trasformati in certezze: «L'hanno ammazzata per azzittirla». E due settimane fa in una lettera al Corriere Marina Berlusconi ha denunciato con toni indignati la campagna lanciata contro suo padre per un delitto che delitto non era.

Anche lei, Imane, credeva di essere stata uccisa: il nastro è lì, inequivocabile, e dentro ci si sente la voce di una giovane donna terrorizzata per quanto le sta accadendo, assediata dalla paura di morire. «Le avevano parlato dell'avvelenamento come un'ipotesi, e lei lo ha preso come una certezza», spiega ieri la Siciliano. E racconta che la clinica Humanitas ha fatto il possibile, «gli ultimi risultati della biopsia, che danno la gravità dell'aplasia, arrivano il 25 febbraio, tre giorni dopo Imane muore, non c'era il tempo di fare nulla». Eppure non tutto è filato liscio. Ieri Greco parla di «incredulità» per il ritardo con cui l'avvocato consegnò la telefonata di Imane, «e anche l'ospedale non ci aveva consegnato niente». Invece l'ospedale, a caso appena esploso, aveva fatto sapere in giro di avere avvisato la Procura quando Imane era ancora viva, e si poteva interrogarla.

Ma di quella segnalazione negli uffici della Procura non c'è traccia, e alla fine anche l'ospedale ha smesso di parlarne. Scende il silenzio. Su Imane, sulla sua morte ingiusta, e sul teatro che le è stato costruito sopra.

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