È trascorso quasi un anno da quando il Viminale ha annunciato la sua rivoluzione: stop ai vecchi Cie divenuti ormai carceri a cielo aperto e via libera ai nuovi centri per il rimpatrio (Cpr), uno per ogni regione, più snelli e più efficienti nelle espulsioni degli irregolari. Ma la road map per rendere operativo entro l'estate il decreto varato dal ministro Minniti non aveva fatto i conti con la macchina della burocrazia e con la resistenza delle regioni. A distanza di dieci mesi da quella legge e alla vigilia del rush finale di questa legislatura, di questi centri se ne vedono solo quattro.
Attivi, secondo i dati al 7 novembre, sono solamente quelli di Brindisi, Caltanissetta, Roma e Torino, dove sono ospitati 376 migranti da allontanare dall'Italia. Altri 5 nasceranno nei mesi a venire. Uno, quello di Potenza, sorgerà «nei prossimi giorni, comunque entro fine anno - assicura al Giornale il capo di Gabinetto del ministro, Marco Morcone - e anche quello di Bari è pronto». Gli altri, fino ad arrivare a dieci, saranno istituiti nel 2018 a camere sciolte ed elezioni in corso: «Ma il piano procederà senza intoppi, è una questione amministrativa che nulla ha a che fare con il cambio del governo. Ci saranno 1.700 posti», precisa ancora Morcone.
Eppure i tempi non fanno ben sperare se si pensa che entro settembre dovevano essere pronte le strutture a Montichiari, a Gradisca, a Santa Maria Capua Vetere, a Iglesias, a Modena e Mormanno, Cosenza. Ma molti edifici che prima ospitavano gli ex Cie sono danneggiati e richiedono lavori di ristrutturazione, mentre diversi governatori sono ancora reticenti, anche nel centrosinistra: Enrico Rossi nella sua Toscana non vuole sentir parlare di un Cpr, e Debora Serracchiani chiede a Minniti «chiarimenti sulle regole» viste «le drammatiche vicende accadute negli anni passati». A invocarli invece c'è il sindaco di Firenze, Dario Nardella: «Abbiamo il dovere di rimandare nel loro Paese gli irregolari che costituiscono un pericolo sociale». Dai centri transitano infatti gli stranieri che si sono macchiati di reati minori: «I numeri testimoniano il fallimento dell'asse Alfano-Renzi prima e di Minniti-Gentiloni poi - dice Gregorio Fontana, deputato di Fi e membro della Commissione di inchiesta sull'accoglienza - gli immigrati destinati ai centri per il rimpatrio sono persone socialmente pericolose. I Cie servivano a tenere un certo controllo sulle persone da allontanare. Ora queste persone restano in circolazione».
Di fatto la transizione tra Cie e Cpr consegna un vuoto di posti disponibili: nel 2015 e 2016 c'era una decina di strutture, con una capienza effettiva rispettivamente di 600 e di 359. Oggi nei Cpr si contano in totale 376 persone ed è già tutto esaurito fino a nuove aperture: 47 ospitati a Brindisi, 93 a Caltanissetta, 87 a Roma, dove lo spazio si è dimezzato a causa della «chiusura dell'intero settore maschile», 149 a Torino, dove c'è stato «il danneggiamento di tre moduli abitativi», si legge nelle schede del Viminale. Così senza posti chi riceve il foglio di via rischia di svanire nel buco nero dell'irreperibilità. «Ma le espulsioni non dipendono dai centri per il rimpatrio - avverte Morcone - ma dagli accordi con i Paesi di provenienza.
Ne abbiamo siglati con quasi tutti i Paesi terzi». I controlli, poi, sono stati rinforzati: dal 1° gennaio al 5 novembre sono stati rintracciati 39mila irregolari, di cui 17mila allontanati dall'Italia: il 14% in più rispetto all'anno scorso. Ma ancora meno della metà.
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