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Imprese pagate in ritardo. L'Europa condanna l'Italia

L'Ue: i termini sono perentori. Presto un'altra mazzata: il M5s torna alla carica per chiudere i negozi la domenica

Imprese pagate in ritardo. L'Europa condanna l'Italia

È una storia infinita fatta di soluzioni che sembrano a portata di mano, promesse non mantenute. Flussi di denaro non versato ai legittimi creditori che alimentano uno stock di debito che negli anni è diminuito un po', ma che resta sempre lì a ricordarci che avere lo Stato come cliente non è sempre un buon affare.

I debiti commerciali sono ormai iscritti nella lista dei problemi cronici dell'Italia, al pari del debito pubblico. Con la differenza che, rispetto a quest'ultimo, gravano direttamente su imprese e professionisti.

A riportare l'attenzione sul fenomeno debiti della Pa è stata una sentenza della Corte di giustizia europea secondo la quale l'Italia avrebbe dovuto assicurare il rispetto da parte delle Pubbliche amministrazioni dei termini di pagamento verso i creditori «non superiori a 30 o 60 giorni».

Limiti previsti da una direttiva europea del 2011, rispettati a fatica dagli uffici pubblici.

A spingere a suo tempo per una normativa che evitasse alle aziende l'asfissia per carenza di liquidità (tante le imprese fallite perché la Pa non paga in tempo) fu un italiano, l'allora vice presidente della Commissione e responsabile dell'industria Antonio Tajani.

La tesi dell'Italia è che non spetti al Paese membro dell'Unione vigilare sull'effettivo rispetto dei termini stabilita dalla direttiva.

I giudici hanno invece stabilito che spetta proprio allo stato fare sì che i suoi uffici onorino i termini. È stata insomma accolta la tesi della Commissione europea che aveva aperto una procedura di infrazione investendo della questione i giudici Ue. L'Italia avrebbe dovuto garantire il rispetto dei tempi perentori entro i quali si devono liquidare le fatture. Avrebbe dovuto riconoscere ai creditori la possibilità avere la cifra dovuta e gli interessi.

Nessun commento ufficiale del governo, se non la puntualizzazione del ministro dell'Economia Roberto Gualteri (in replica a Matteo Salvini) che la procedura risale al 2015/2016). Fonti vicine all'esecutivo ieri osservavano come l'Italia rischi al massimo una multa, dopo un altro passaggio alla Corte europea. Impossibile per Bruxelles imporre un'accelerazione dei tempi di pagamento, insomma. L'Italia rivendica la diminuzione dello stock del debito. Nel 2012 il complesso delle fatture non onorate dallo Stato entro i termini era di 91 miliardi, nel 2018 si era dimezzato. Merito della possibilità concessa (una tantum) di escludere le somme pagate ai privati come un aumento del debito pubblico. Da allora altri ritardi si sono accumulati. Meno gravi di prima. Gli ultimi dati relativi al 2018 dicono che sono stati pagati 22,1 milioni di fatture, con un ritardo medio di sette giorni rispetto al limite previsto per legge.

Nel 2018, ricorda la Cgia di Mestre, l'ammontare dei debiti era di 53 miliardi, in calo di 4 miliardi rispetto al 2017. In Europa, commenta il coordinatore dell'ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, «nessun altro Paese può contare su un debito così smisurato».

Non è mai stato un paese per chi investe e rischia insomma. Difficile che lo diventi a breve, se è vero che nel cronoprogramma per la fase due del governo il Movimento cinque stelle intende insistere sulle chiusure obbligatorie dei negozi la domenica e i festivi. Misura che prende di mira direttamente i centri commerciali e fa salvi gli esercizi nei centri storici e dei negozi di vicinato.

Un altro carico sulle imprese, in un sistema che non brilla certo per competitività.

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