È imprevedibile, spavaldo e all'attacco. Presidenza Trump, istruzioni per l'uso

Il suo mentore è Roger Stone di estrema destra. La strategia: ridurre in polvere il nemico

È imprevedibile, spavaldo e all'attacco. Presidenza Trump, istruzioni per l'uso

Tutti pazzi per Donald Trump. Non nel senso che tutti lo amino, ma che milioni di giornalisti e politici impazziscono cercando di prevedere e giudicare quel che il presidente degli Stati Uniti fa o dice. C'è un filo conduttore? Trump è stato addestrato, ormai è evidente, sia ad essere imprevedibile che ad attaccare oltre il consentito deridendo le critiche ideologiche e fracassando la cristalleria delle buone maniere. Il suo mentore luciferino si chiama Roger Stone un «libertarian» di estrema destra, teorico dei colpi sotto la cintura e della spavalderia di fronte alle accuse politicamente corrette o, come diciamo noi, buoniste. Per vincere è la lezione di Stone impartita per anni al suo amico Donald - occorre essere candidi e cattivi. Soltanto dopo è possibile ottenere successi politici popolari. I consensi calano? Basta ignorare e andare avanti. L'ultimo banco di prova è quello della cacciata del direttore del Fbi James Comey, odiato anche da Hillary Clinton, che adesso tutti i nemici di Trump fingono di difendere. Il manuale trumpiano impone di rispondere: ho fatto bene e sono pronto a rifarlo.

La Cnn, catena televisiva di orientamento democratico, apre i suoi servizi chiedendo seriamente e con molta ansia: «Siamo di fronte a un colpo di Stato?». Fox News, l'emittente repubblicana, risponde plaudendo al taglio della testa di Comey, mentre Trump se la cava dicendo che da tre mesi aveva deciso di cacciare Comey. Poi salta fuori che poco prima lo aveva invitato a cena per porgli una domanda più coniugale che politica: «Mi sarai fedele, James?». Comey, pallido, aveva risposto: «Onesto sì, non fedele». Trump ha risposto: «Lei deve essere fedele al Presidente degli Stati Uniti, non a me come persona». Le versioni da qui in poi si contraddicono ma i media puntano sulla messa in stato d'accusa del Presidente il quale sembra però indifferente e probabilmente lo è. Vista l'insistenza del fronte dei media, tira in ballo sia il Procuratore generale che il suo vice dicendo che proprio loro gli avevano suggerito di cacciare Comey. I due, come prevedibile, si attorcigliano nei distinguo mentre Trump già pensa ad altro e tira dritto anche se mai un Presidente in carica ha cacciato il capo del Fbi. Sarebbe come se da noi Paolo Gentiloni licenziasse il comandante generale dell'Arma dei carabinieri.

«The Donald» non si emoziona in casa, e incassa successi in politica estera: mantiene la faccia feroce sul fronte siriano irritando Putin, stringe un accordo con la Cina. Quando i militari di Pyongyang lanciano un nuovo missile dalla tecnologia micidiale, Trump scarica l'impatto del problema sui russi: «Questo missile è un messaggio per Mosca, non per noi». Impassibile, ribadisce il desiderio di incontrare il dittatore coreano Kim Jong-un non per minacciarlo ma per rassicurarlo. Follie? Non sembra: il rappresentante nordcoreano, a Pechino per l'inaugurazione della nuova Via della Seta, ha confermato a un diplomatico americano che Pyongyang è d'accordo per un tale incontro «purché si creino le opportune condizioni». Trump è riuscito dunque a perforare il muro coreano aggirandolo ad est grazie alla folgorante nuova amicizia col presidente cinese e con lo show della portaerei Carl Vinson nelle acque coreane per la gioia dei militari.

Trump si contraddice quando gli è necessario, improvvisa e mette nei guai i suoi portavoce sempre sul rogo dei media. Trump ha detto che se ne infischia dell'«accuracy», la precisione meticolosa che si richiede a politici e giornalisti. Per poi aggiungere: «Se insistete, chiudo le conferenze stampa quotidiane alla Casa Bianca». Sean Spicer, «Press secretary» della Casa Bianca, è in disgrazia e per ora sostituito dalla sua vice Sarah Huckerbee Sanders che risponde con brutalità alle critiche del corpo giornalistico accreditato presso White House. I media di sinistra, CNN, New York Times, Washington Post gridano che mai, dai tempi di Richard Nixon, l'inquilino della Casa Bianca è stato tanto impopolare nei sondaggi. Ieri il gradimento è sceso di un altro punto rispetto al mese precedente, ma il presidente se ne infischia. Una parte della sinistra democratica punta al suo impeachment sperando di mettergli alle calcagna un procuratore speciale come accadde a Bill Clinton. Ma la pretesa si scontra con l'efficacia del copione che il Presidente segue, ispirato da un sulfureo genio come Roger Stone, creatore della teoria dell'attacco continuo senza perder tempo giocando in difesa. È questo il genere di strategia aggressiva e spensierata che ha spinto Trump in campagna elettorale a liquidare Bill Clinton con una sola parola: stupratore. E Hillary Clinton con un «lock her up», vada in galera. Si tratta di una strategia figlia della sconfitta storica di Richard Nixon, che non seppe difendersi attaccando, ma soltanto cercando di parre i colpi. Roger Stone è stato al fianco di Donald Reagan, di George W.

Bush e ora di Donald. La sua teoria è che un repubblicano deve cercare di ridurre in cenere i suoi nemici con un linguaggio brutale, gradito ai cattolici e agli operai che si sentono emarginati dalle presuntuose élites intellettuali.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica