Inchini, turisti e occupazione. È un business da 600 milioni

Il traffico dà lavoro a 4mila persone e vale il 3,2% del Pil della città. Decreto anti transiti fermo al Tar dal 2012

Inchini, turisti e occupazione. È un business da 600 milioni

Venezia galleggia e ondeggia tra decisioni da prendere e scelte da fare. La laguna da salvaguardare, il turismo da incoraggiare. Venezia e la tentazione di far pagare il biglietto ai visitatori, e i crocieristi che arrivano dal mare, navi enormi che transitano per il bacino di San Marco che sbarcano praticamente in salotto, a frotte. Solo qualche settimana prima dello schianto tra la Msc Opera e il battello Michelangelo, uno di questi grattacieli del mare era rimasto bloccato nel canale della Giudecca a causa di un'avaria. Nel 2018 un vaporetto aveva rischiato la collisione con una nave da crociera. Nel 2013, infine, una nave si era avvicinata pericolosamente alla Riva dei Sette Martiti, scatenando il panico. In molti avevano visto in questa manovra quello stesso «inchino» al largo dell'isola del Giglio che nel 2008 costò caro ai passeggeri della Concordia. Incidenti pericolosi, che alzano il sipario su una questione «che dura almeno 20 anni», ha ricordato il filosofo veneziano Massimo Cacciari. Dopo l'incidente di ieri, la prefettura di Venezia ha chiesto alla Capitaneria di Porto «uno studio sul numero delle navi che potrebbero transitare da subito lungo il Vittorio Emanuele così da deviare in tempi ristretti il traffico programmato per la stagione in corso». L'estate non fa che rendere il problema un'emergenza.

Il tempo dell'indignazione e della rabbia, poi, si torna come prima, a far finta di niente. Eppure non doveva essere così. Da almeno sette anni le cose sarebbero dovute cambiare. È datato 2012 infatti il decreto Clini- Passera che vieta il passaggio delle navi altre le 40 mila tonnellate. Il decreto stabiliva la necessità di limitare il traffico crocieristico a Venezia, trovare percorsi alternativi, passare per il Canale Vittorio Emanuele ad esempio. Poteva essere la svolta e invece la prescrizione non è mai stata applicata. I limiti vennero poi annullati nel 2014 dal Tar del Veneto, cui si era rivolta Venezia Terminal Passeggeri, la società che gestisce in concessione la Stazione Marittima della Serenissima, ma che le compagnie crocieristiche decisero comunque di continuare e rispettare, tramite un protocollo di auto-regolamentazione il cui effetto è stato quello di ridurre sensibilmente il traffico di passeggeri nel porto di Venezia. E allora, il tema è come sempre ben più complesso di un passaggio iper facilitato per i turisti da crociera. Certo, entrare in macchina nel salotto di casa fa comodo, e lo spiegano i numeri. È l'associazione Clia (Cruise Lines International Association) organizzazione internazionale delle principali compagnie crocieristiche attive nel mondo che proprio a Venezia aveva presentato una serie di dati sul valore del settore per il tessuto produttivo della città lagunare. L'associazione ha spiegato che ogni anno crocieristi, equipaggi e compagnie spendono 436,6 milioni di euro, cui si aggiungono altri 170 milioni a beneficio dell'indotto. Un business che genera il 3,2 per cento del Pil locale, e occupa 4.300 persone e 200 società veneziane, impiegando quindi il 4,1 per cento dell'intera forza lavoro cittadina.

Se fosse vietato l'accesso in Laguna a tutte le navi da crociera con una stazza superiore alle 40.

000 tonnellate il numero di crocieristi a Venezia secondo CLIA si ridurrebbe del 90% rispetto al 2012, la spesa per beni e servizi locali dell'85% (40 milioni contro 283,6 milioni) e l'occupazione dell'83% (600 lavoratori a fronte di 3.660). Ecco perchè è ora di sciogliere la matassa.

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