Indagato l'ad di Eni I pm colpiscono l'Italia per punire il premier

Descalzi, da poco nominato alla guida del colosso, nel mirino per una presunta tangente in Nigeria L'accelerazione dopo le voci di riforma della giustizia

F orse a Matteo Renzi converrebbe che i magistrati facessero qualche giorno di ferie in più, anziché in meno. Perché ieri, con i palazzi di giustizia appena riaperti, parte il secondo siluro giudiziario verso l'universo del presidente del Consiglio. Se a venire investiti dalle inchieste erano stati pochi giorni fa i candidati alle primarie del Pd in Emilia Romagna, oggi il siluro colpisce ai massimi vertici del business di Stato dell'era renziana: la procura di Milano inguaia Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, il manager designato appena quattro mesi fa per raccogliere l'eredità di Paolo Scaroni alla guida del colosso petrolifero di Stato.

Per il pm Fabio De Pasquale, della procura di Milano, Descalzi è responsabile di una tangente pagata da Eni per acquisire un giacimento di petrolio in Nigeria: un affare da un miliardo e 90 milioni di euro, oltre alla presenza minoritaria di Shell con circa duecento milioni. Il contratto è stato siglato nell'aprile 2011 tra Eni e governo nigeriano, alla larga da «qualsiasi condotta illecita» secondo quanto rivendica ieri l'azienda italiana. Ma a monte di quell'accordo ci sarebbe stata secondo il pm milanese una trattativa sotterranea tra faccendieri e lobbisti di entrambi i paesi (tra cui l'italiano Luigi Bisignani, anch'egli indagato insieme a Descalzi, al suo predecessore Scaroni e al capo degli «esploratori» di Eni, Roberto Casula) che ruotava intorno all'ex ministro nigeriano del petrolio, Etete. Questo Etete è un personaggio vulcanico e pittoresco, dalle giacche improbabili e dagli appetiti robusti. Che si muova con disinvoltura nel milieu internazionale dei grandi affari lo dimostra anche il fatto che in Francia sia stato condannato a tre anni di carcere per riciclaggio, essendosi comprato con denaro sporco persino un castello: ma nel marzo scorso il governo francese, che a fare affari con la Nigeria evidentemente ci tiene assai, lo ha graziato.

Della concessione del giacimento Opl 245, tra Zabazaba ed Etan, un tesoro da 500 milioni di barili, il ministro Chief Dan Etete - uomo di fiducia del generale Abacha - pare si fosse impadronito personalmente per poi rimetterla sul mercato con un ricarico mostruoso. Le trattative diretta tra Eni e Malabu si arenano. Alla fine, però, l'accordo con Eni e Shell lo firma il governo di Lagos. Poco dopo i lobbisti, che si sono sentiti scavalcati, iniziano a battere cassa alla società del ministro, la Malabu. Va a finire che circa 190 milioni vengono sequestrati tra Svizzera e Inghilterra, su conti pare legati alla Malabu. Ieri ai vertici di Eni viene notificata copia del decreto di sequestro, e la notizia approda in diretta sul Corriere della sera .

Altro caso di «giustizia a orologeria», come Renzi ha definito gli avvisi di garanzia di Bologna? Tecnicamente, è difficile sostenerlo, perché la procedura aperta in Gran Bretagna risale a prima che il presidente del Consiglio andasse all'attacco dei privilegi dei giudici. Di certo c'è però che, almeno fino ad oggi, non è chiaro quale sia l'elemento nuovo che ha portato all' impeachment di Descalzi. L'inchiesta sull'affare di Zabazaba è vecchia di anni. Già nel maggio 2012 la Economic and Financial Crimes Commission nigeriana aveva ricostruito passo per passo il percorso degli 800 milioni di dollari che, dopo essere stati versati da Eni e Shell sull' Escrow Account della JP Morgan Chase (il conto indicato alle due aziende dal governo nigeriano) vengono girati all'ex ministro Etete. E nel novembre scorso il sito Global Witness raccontava già quello che oggi appare il principale elemento d'accusa contro Descalzi, e cioè gli incontri tra Etete e il management Eni in un « five star hotel in Milan », l'albergo Principe di Savoia. Eppure quando nel luglio scorso una agenzia di stampa aveva scritto che Descalzi era indagato la Procura di Milano aveva smentito con veemenza, e l'agenzia aveva dovuto rettificare.

Cosa è successo in questi due mesi, in piene vacanze del sistema giustizia, perché anche il numero uno di Eni finisse nel registro degli indagati? Intanto, mentre l'azienda ribadisce fiducia e collaborazione verso i magistrati, ieri il titolo in borsa ha chiuso a meno 1,05%.

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