Di questi tempi dev'essere fonte di una certa emozione, per un magistrato, poter vergare il cognome «Renzi» su un avviso di garanzia. Anche se il nome di battesimo non è quello del celebre (e non proprio amatissimo dalla toghe, al momento) Matteo, ma è un grado di separazione più in là: Tiziano, il babbo.
L'inchiesta della Procura di Genova risale a sei mesi fa, ma la notizia dell'iscrizione sul registro degli indagati del padre del premier per bancarotta fraudolenta è pubblica da ieri, quando i pm hanno presentato al Gip la richiesta di proroga delle indagini, che evidentemente ancora non sono approdate a risultati sufficienti. La vicenda è relativa al fallimento della società di distribuzione di giornali e campagne pubblicitarie Chil Post srl, nel novembre 2013. La bancarotta viene contestata anche ad altre due persone, ex amministratori della società, e cioè Gianfranco Massone e Antonello Gabelli, subentrati nel 2010 a Renzi nella titolarità della società, fondata da Tiziano e intestata fino al 2003 a Matteo e alle sorelle. Il premier si fece le ossa da ragazzo lavorandoci: «Si alzava ogni mattina alle 4 per andare a organizzare il lavoro degli strilloni», raccontano gli amici fiorentini. Nel 2003 Renzi si candidò alla Provincia e proprio la Chil gli procurò un guaio e molte polemiche, a causa dell'aspettativa da dirigente che ottenne per candidarsi, con relativi contributi previdenziali. La cifra in ballo nell'inchiesta non sembra tale da suggerire un nuovo caso Madoff: trattasi di 8mila euro, aumentati a 11mila con gli interessi, ma i magistrati genovesi vogliono lo stesso indagare con grande scrupolo e ampio tempo a disposizione, e sembrano dare molta importanza al fascicolo visto che a coordinare l'inchiesta sugli 8mila euro è sceso in campo il procuratore aggiunto Nicola Piacente, che affianca il pm Marco Airoldi. Interviene anche il procuratore capo di Genova, Michele Di Lecce, che avverte: «Le indagini sono ancora in corso, tanto è vero che è stata chiesta una proroga dei termini. Non è escluso che ci possano essere altri indagati, a seconda dei ruoli ricoperti all'interno della società» L'indagato reagisce con tipico piglio renziano: «Alla veneranda età di 63 anni e dopo 45 anni di attività professionale ricevo per la prima volta nella mia vita un avviso di garanzia. I fatti si riferiscono al fallimento nel novembre 2013 di una azienda che io ho venduto nell'ottobre 2010. Sono certo che le indagini faranno chiarezza ed esprimo il mio rispetto non formale per la magistratura». Annuncia di essersi dimesso, «per evitare strumentalizzazioni», dalla sua carica di segretario del circolo Pd di Rignano e a chi gli chiede se abbia sentito l'illustre figliolo replica ironico: «Quando i figli son grandi, sono autonomi. Si spera anche i padri».
Il figlio, dal canto suo, ufficialmente non proferisce verbo sulla vicenda. Rassicura i suoi dicendosi per nulla preoccupato dal nuovo assalto giudiziario, e chi ci ha parlato lo descrive piuttosto irritato ma anche molto determinato ad andare avanti con il suo massiccio programma di riforme, giustizia inclusa. Né gli piacciono le insinuazioni di chi lega l'avviso di garanzia, notificato lunedì, al duro discorso anti-giustizialista del premier alle Camere martedì. Una cosa però ci tiene a chiarirla, il premier: «Alla giustizia ad orologeria non ci credo per nulla», ripete. Tra i suoi, però, non c'è la stessa convinzione. Certo il neo-responsabile giustizia Pd Davide Ermini dice che si tratta di una vicenda «tutta provata, che chiarirà il signor Renzi e che non ha nulla a che vedere con il governo», ma un altro dirigente renziano si lascia andare: «Mi sa che hanno ragione quelli che ci avvertono che chi tocca i fili della giustizia si brucia: guardate come sono finiti nel mirino di pm i ministri della Giustizia Mastella e Castelli che osavano tentare qualche minima riforma. Guardate la guerra che han scatenato solo per difendere le loro ferie. Quelli non perdonano».
di Laura Cesaretti
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