Il paragone con «L'inferno di cristallo», il filmone anni Settanta che raccontava il dramma di un grattacielo in fiamme in una metropoli americana, affiora immediato alla memoria. Anche se, per fortuna e a differenza dell'opera di fantasia di quarant'anni fa, il bilancio finale del disastro che ieri ha trasformato in gigantesca torcia una torre di appartamenti residenziali nel periferico quartiere newyorkese del Bronx non ha superato la dozzina di vittime. Abbastanza però per fare di questo terribile incidente il più grave verificatosi a New York negli ultimi 25 anni, come ha rimarcato il sindaco Bill De Blasio.
Il rogo, si è appreso da fonti investigative, è stato involontariamente appiccato da un bambino di tre anni che abitava al primo piano e che, lasciato incustodito, ha pensato di ingannare la solitudine mettendosi a giocare con una stufa. Le fiamme, sfuggite alla loro sede, hanno provocato un incendio nell'appartamento che rapidamente è diventato rogo e dilagando verso l'alto si è propagato ai piani superiori, trasformando il palazzone nel quartiere più degradato di New York in un'impressionante, colossale fiaccola.
Bambini erano, purtroppo, quattro delle dodici vittime accertate. Il più piccolo aveva solo un anno, altri ne avevano due e sette, mentre un quarto non ha nemmeno potuto essere identificato. Gli altri morti sono quattro donne e quattro uomini, di età comprese tra i 19 e i 63 anni. Il bilancio complessivo, ha detto il sindaco, potrebbe peggiorare perché quattro dei feriti tratti in salvo (una dozzina in tutto) sono in condizioni gravissime a causa delle ustioni riportate su tutto il corpo.
I resoconti dei vigili del fuoco che hanno lavorato per spegnere l'incendio sulla Prospect Avenue - in tutto 170 pompieri sono stati chiamati all'opera - sono drammatici. «Le fiamme erano spaventose, in un freddo estremo nel cuore della notte. E c'era questa terribile processione di barelle con su gente mezzo bruciata che uscivano nel fumo».
Il precedente più grave nella storia recente di New York risale al 7 marzo 1990, sempre nel degradato Bronx. In quel giorno di 27 anni fa un profugo cubano, Julio Gonzalez, appiccò il fuoco a una discoteca dopo un litigio con la fidanzata. L'uomo agì con la precisa intenzione di provocare una strage: gettò il contenuto di una tanica di benzina all'interno del locale, gli diede fuoco lanciando fiammiferi accesi e chiuse dall'esterno la serranda metallica che era l'unica via d'uscita. Fu effettivamente un massacro: nel rogo dello Happy Land Social Club, frequentato dalla comunità originaria dell'Honduras, persero la vita 87 persone.
Se ne salvarono soltanto sei e tra queste, ironia della sorte, c'era proprio la giovane che Gonzalez avrebbe voluto uccidere.Il responsabile di quello che fu allora rubricato come il più grave massacro della storia degli Stati Uniti è morto pochi mesi fa, all'età di 61 anni, nel carcere dove scontava l'ergastolo.
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