Un assist a Pedro Sánchez con palla avvelenata. A tre settimane dalle elezioni di fine luglio, dalla Spagna arrivano i primi segnali di compromesso tra il Psoe del premier uscente e la coalizione catalana di Carles Puigdemont. Una prima intesa, sigillata con parole al miele, ha portato all'elezione della socialista Francina Armengol alla presidenza della Camera bassa del Parlamento: una donna su cui l'ultrasinistra di Sumar già alleata del Psoe si è trovata subito d'accordo, prefigurando all'orizzonte un governo «femminista e democratico che escluda la destra». Più pesante si preannuncia invece la «cambiale» del leader indipendentista Puigdemont. Considerato ago della bilancia, Puigdemont ha piazzato il primo mattoncino per una riabilitazione (sua e delle istanze catalane) dopo che la Corte suprema spagnola aveva spiccato un mandato d'arresto europeo lo scorso 24 luglio. Secondo Junts per Catalunya, l'intesa sulla Armengol ha un costo: il via libera dei socialisti all'uso del catalano e di lingue diverse dallo spagnolo al Congresso, commissioni investigative nell'uso del programma Pegasus per spiare gli indipendentisti e la creazione di un commissione d'inchiesta sugli attentati di Barcellona e Cambrils del 17 agosto 2017. E subito è arrivato l'annuncio della Armengol neo-eletta: permetterà l'uso delle lingue co-ufficiali nelle sedute parlamentari per mostrare il suo «impegno verso il catalano, il basco, il galiziano e la loro ricchezza linguistica».
Resta però prudente su un futuro governo insieme Puigdemont: «L'investitura (per Sánchez) è esattamente dov'era il giorno dopo le elezioni», taglia corto. È nelle mani del re. Il leader di Junts rivendica però che Sánchez premerà sull'Ue per aggiungere il catalano, il basco e il galiziano alle lingue ufficiali.
La Spagna ha fretta di trovare un governo, visto che presiede il Consiglio dell'Ue. E ieri anche i repubblicani di Erc hanno dato l'ok all'accordo per la Armengol, negoziando un altro punto, la «de-giudizializzazione» del «conflitto politico» in Catalogna attraverso «necessari canali legali». In pratica l'Erc ritiene che grazie all'intesa una eventuale legge sull'amnistia non sarà bloccata dai socialisti.
Il potenziale ritorno dei progressisti al governo ha dunque un costo. Si mordono le mani i popolari di Alberto Núñez Feijóo, che da primo partito hanno votato in solitaria il loro candidato Cuca Gamarra, ottenendo solo 139 voti contro i 178 dell'avversaria Psoe. La nomina della socialista è arrivata senza che Pp e Vox, il partito della destra, siano riusciti a parlarsi. Vox non ha nascosto la delusione: «È la seconda volta che la terza forza parlamentare non è rappresentata», mentre l'ultrasinistra di Sumar incassa una vicepresidenza. Insomma, un fallimento a destra, che fa reagire anche la politica italiana. «Ecco cosa succede in Europa quando nel centrodestra si mettono veti e ci si divide, vince la sinistra, nonostante abbia meno voti», scrive la Lega. Chiaro il riferimento alla bocciatura del vicepremier Antonio Tajani a un'alleanza con i lepenisti. Il capodelegazione di Fratelli d'Italia al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, bolla come «convergenza inquietante» l'accordo sinistra-indipendentisti.
Il Pd invece esulta per Sánchez: «La conferma alla Moncloa è sempre più vicina, se così sarà le prossime europee sono più che mai aperte». Il Pp si consola con Pedro Rollán Ojeda, eletto presidente del Senato. Senza sorprese (e con pochissimi margini di manovra politica).
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