"Io linciato per una nevicata, lui trattato coi guanti bianchi"

L'ex sindaco di Roma ricorda l'assalto subito nel 2012: "Quello fu un evento assolutamente straordinario. Doria a Genova poteva affidare direttamente le opere urgenti"

Il sindaco uscente Gianni Alemanno
Il sindaco uscente Gianni Alemanno

Roma - Onorevole Alemanno, lei da sindaco finì travolto dalle polemiche sulla neve a Roma. Ora tocca al primo cittadino di Genova finire nel mirino per eventi meteorologici.

«Be', sinceramente non mi sembra che il trattamento riservato dal governo e dai media al sindaco Doria sia paragonabile a quello riservato a me. Al confronto lui viene trattato con i guanti bianchi. E si tratta di fenomeni atmosferici molti diversi».

Quali le differenze più evidenti?

«L'evento romano del febbraio 2012 fu davvero qualcosa di straordinario visto che la precedente nevicata risaliva al 1985. La neve a Roma ha carattere di eccezionalità. A Genova fenomeni e problemi sono avvenuti fin dagli anni '70 mentre l'ultima alluvione che ha causato più di una vittima si è verificata nel 2011. Si sapeva che esisteva un rischio, si conosceva il problema dei due torrenti. Inoltre a Roma, grazie a Dio, nessuno si è fatto male o ha perso la vita».

Quale fu l'approccio del governo nei suoi riguardi?

«Fu un'emergenza che coinvolse tutto il territorio nazionale, ci furono vittime in giro per l'Italia, situazioni molto più drammatiche rispetto a quella di Roma. Non posso certo dire che ricevetti aiuto o sostegno dal governo Monti e dal ministro Cancellieri. Venni lasciato solo in balia della peggior politica. Oggi l'approccio del governo è diverso».

Lei puntò il dito contro la Protezione Civile.

«Denunciai che aveva sottovalutato l'evento e non aveva avvertito a dovere le autorità locali, ma sbagliai a personalizzare e a lasciare che la questione diventasse una polemica personale con Franco Gabrielli».

Oggi si ripete il rimpallo delle responsabilità con la Protezione Civile.

«Tutto parte dallo smantellamento della Protezione Civile con la legge N. 10 del febbraio 2011, quando dopo le dimissioni di Bertolaso i burocrati del Mef imposero mille vincoli. Eravamo abituati a una capacità di mobilitazione rapidissima: dovunque capitasse un'emergenza, la prima cosa che si sentiva era “gli uomini della Protezione Civile sono già sul posto“».

Esiste un problema di protocollo gerarchico?

«Certamente. Di fronte a una emergenza non c'è tempo per i minuetti, serve una catena di comando e una gerarchia ferrea. Ai tempi di Bertolaso la Protezione Civile avrebbe potuto assumere la guida dei lavori sui canali di Genova, scavalcando Doria o Burlando e tutte le burocrazie centrali e periferiche e ci sarebbe stata una regia immediata e precisa. Io denunciai il vuoto che si era creato. Se invece di strumentalizzare quell'emergenza in chiave politica si fosse fatto tesoro delle critiche emerse in quella situazione, si sarebbe potuta fare una riforma molto più seria di quella realizzata poi nel maggio 2012. La Protezione Civile è rimasta una realtà debole e paralizzata».

Si dice: i sindaci si scontrano con risorse limitate e con il Moloch della burocrazia.

«Sì, è così. Ma è anche vero che Doria poteva ricorrere alla procedura per affidamento diretto dei lavori con la dichiarazione di “somma urgenza», perché era in gioco l'incolumità dei cittadini. Si tratta di una assunzione di responsabilità molto forte perché ti espone all'intervento della Corte dei Conti per danno erariale. Doria si sarebbe assunto un bel rischio, ma era nelle sue facoltà».

C'è reticenza a spostare risorse da spese correnti «visibili» a spese di prevenzione «invisibili»?

«La quotidianità spesso ha il sopravvento. Ma non è il problema principale: purtroppo esistono i vincoli del patto di Stabilità interno imposto dall'Ue.

Questi vincoli valgono anche per il dissesto idrogeologico e bloccano perfino i lavori per la ricostruzione de L'Aquila. Una vergogna. Ma non sono i sindaci che possono risolvere questo problema, fa parte delle trattative che Renzi deve fare in Europa».

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