Bisogna prendere atto di un'apparente sfasatura, nei rapporti tra la chiesa di periferia, di popolo e persone seriamente «impegnate», dotate anche da clergyman, e riscontrare quanto impegno si profonde per coloro che si dedicano ad amare il prossimo lontano, e che finiscono per ignorare e magari snobbare quello vicino. Negli ultimi mesi, mi sono chiesto se mai esista da qualche parte un ufficio, magari in curia, che accetti l'iscrizione al «Terzo mondo». Io sono un sacerdote, che sogna di essere promosso e considerato tale nella categoria degli «ultimi» mentre mi viene riconosciuto solo il diritto di «tirare a campare», di «arrangiarmi» da solo.
Vedo un gran da fare da parte di certi confratelli, presi dalla fobia di occuparsi di globalizzazione, ambiente, tossicodipendenti, qualche barbone. Lottano per la pace, si battono per la giustizia, si accalorano per l'ecologia. Se un sacerdote non puntasse gli occhi al di là delle finestre di casa propria, non si spingesse oltre l'ombra del campanile (che io non ho a causa del terremoto dell'Emilia), ci sarebbe da dubitare della sua intelligenza. Tuttavia non credo di pretendere troppo se esprimo il desiderio che i miei superiori mi aiutassero guardando in faccia, qualche volta, anche me come sacerdote. Le nostre chiese si stanno svuotando, di chi deve portare il fardello di essere uomo di chiesa in questo marasma di cose da fare, nessuno si occupa, e se ci si occupa è per fare processi sommari.
Confido che la mia sposa, la mia Chiesa, si accorga che esiste un pezzetto di «Terzo mondo» anche qui mi accontenterei che la sua instancabile frenetica attività finisse oltre che ai porti e oasi di segregazione mondiale, a me.
Da povero e dimenticato prete mi bastano le briciole.
*parroco di Mortizzuolo (Mo)
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