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"Io, perseguitato dagli incubi e dalla maledizione di Martina"

Assieme alla ex ha sfregiato con l'acido il volto di due giovani. "Cosa mi è rimasto più impresso del processo? La condanna"

"Io, perseguitato dagli incubi e dalla maledizione di Martina"

Quello di Alexander Boettcher chiuso in cella a San Vittore è un universo capovolto. Lui che era abituato a essere il «sole» con i pianeti che gli giravano intorno, ora è un buco nero che ha inghiottito tutto. Compreso se stesso.

Due condanne: a 23 e 14 anni nel doppio processo sulle aggressioni con l'acido. Oggi Alexander compie 32 anni. In carcere non si può festeggiare, e poi chi sta in galera non ha nulla da festeggiare.

Eppure Boettcher appare più sollevato: studia, legge, segue un corso di «giustizia riparatoria». Il verbo «riparare» ha un che di meccanico, fa pensare a un'auto incidentata.

Ma cos'è stato Boettcher se non un'«auto» lanciata contromano sull'autostrada del destino? Un'esistenza distrutta insieme con la sua ex compagna, Martina Levato. Poteva essere una strage. E per certi versi lo è stata.

Non c'è scappato il morto, ma la tragedia è stata comunque terribile, tra volti sfigurati e anime dilaniate a sangue. Alexander, agli occhi della gente, rimane l'incarnazione del «Male», che ti fa dire: «E ora che è chiuso in gabbia, buttate pure la chiave».

Ma anche le «chiavi buttate» possono, prima o poi, essere ritrovate e riaprire qualcosa di importante. Per Alexander è cominciato un percorso lungo e difficile. La sua «chiave» è ancora persa chissà dove. Ma la ricerca deve continuare. Guai a gettare la spugna.

Lo sanno bene le persone che, nonostante tutto, nei confronti di «Alex» nutrono affetto: in primis la madre e i suoi due avvocati di fiducia (Michele Andreano e Alessandra Silvestri) che hanno appena stipulato, per conto di Boettcher, un «accordo risarcitorio» con le parti civili.

Sul piano processuale per Alexander forse non cambierà nulla, ma su quello morale certamente è già cambiato molto.

Per la prima volta, dal carcere, Boettcher ha risposto alle domande di un giornalista.

Chi è oggi, in una frase, Alexander Boettcher?

«Un uomo che da tempo ha intrapreso spontaneamente un percorso consapevole e altruistico».

Lei di recente, grazie a un accordo stragiudiziale concluso dai suoi legali, ha risarcito tutte le «vittime dell'acido». Ora si sente a posto con la coscienza o c'è ancora spazio per i rimorsi?

«La coscienza ha tanti rimorsi verso mio figlio e mia madre. Quanto alle parti civili avevo già deciso di fare un gesto concreto circa un anno fa. Spero che questo mio atto possa consentire di lenire, almeno in parte, il dolore che ho provocato».

In carcere ha scoperto la fede? Come vive il rapporto col trascendente chi, come lei, si definiva «il diavolo»?

«Sono credente. Ringrazio Dio ogni giorno per la forza che mi dà. In questa situazione, per quanto drammatica, la mia fede è aumentata».

Chi è il suo compagno di cella?

«Un uomo di rara sensibilità e umanità. Rischia una pena perpetua. Tutti i giorni, quando lo guardo negli occhi, soffro per lui. Provo gratitudine per quello che mi trasmette».

Ha mai parlato con lui delle accuse per le quali è stato condannato?

«Sì, certo. È un mio pensiero costante».

Combatterà per riavere suo figlio Achille?

«Voglio che possa essere amato ed avere una vita libera e felice».

Ma se lei fosse un giudice, affiderebbe Achille a un padre come Alexander Boettcher e a una madre come Martina Levato?

«Lo affiderei a una nonna come Patrizia Ravasi (la mamma di Alexander ndr)»

Oggi che sentimenti nutre nei confronti di Martina Levato?

«In questo mosaico fluido che è la vita, purtroppo ho avuto la sfortuna di incontrare Martina. Non ho rancore nei suoi confronti, ma saperla ormai estranea alla mia vita mi alleggerisce il cuore».

Lei vede Martina più come la mamma di suo figlio o come la maledizione che ha rovinato l'esistenza a tante persone?

«Dall'incontro con Martina è nato Achille e, francamente, preferisco pensare a lui».

Quando uscirà dal carcere, sarà un uomo con più di 60 anni. È un pensiero che la sconvolge?

«È un pensiero agghiacciante, che mi fa soffrire terribilmente».

Per lei che significato hanno le parole «libertà» e «giustizia»?

«Qui ho capito che la libertà è un bene infinito e che questo passa solo attraverso una giustizia giusta».

In carcere ha incubi?

«Tutti i giorni quando apro gli occhi».

Che ricordi ha dell'adolescenza? Come è stata la sua prima storia d'amore?

«Ho avuto un'adolescenza meravigliosa. La prima storia d'amore? Con i mari, i giochi e le fate. Come cantava Baglioni».

Durante il processo cosa pensava quando vedeva il volto sfregiato di Stefano Savi?

«Non lo avevo mai visto prima. Per quanta solidarietà provavo, lo avrei abbracciato. Spero di poterlo fare, un giorno».

Qual è la cosa che nel processo le è rimasta più impressa?

«La condanna».

A San Vittore si occupa della biblioteca. Qual è l'ultimo libro che ha letto?

«Dal Big Bang all'eternità di Roger Penrose».

Che rapporto ha con gli altri detenuti?

«Eccellente».

In tv che programmi guarda?

«Non guardo la televisione».

Il tempo in carcere è una dimensione alienante. Lo scorrere delle ore la fa soffrire?

«Mi fanno soffrire, su 720 ore mensili, le 714 ore che non posso trascorrere con i miei affetti».

Quando riesce ad addormentarsi?

«Appena gli incubi finiscono di tormentarmi».

Come è «gestita» la sessualità in carcere?

«Non è gestita. So che in alcuni paesi si pongono il problema della dimensione affettiva. In Italia siamo lontani dal dare giuste risposte al tema della sfera sessuale. Mancanza che sicuramente incide sul benessere psicofisico dell'individuo».

C'è un ricordo bello che le fa compagnia?

«Mio figlio che allunga le braccia verso di me per farsi abbracciare, con un sorriso fiducioso. Quel sorriso e quel calore sono indimenticabili».

Si possono stringere amicizie in carcere?

«Sì, ci sono persone con cui ho stretto un buon rapporto».

Che rapporto ha con gli agenti di custodia?

«Rispetto la loro autorità».

A cosa accosterebbe il profumo della libertà?

«All'odore di mio figlio».

In tanti hanno descritto il suo rapporto con Martina, e con le donne in generale, un rapporto «malato». In cosa consiste questa presunta «malattia»?

«Ho sempre detto e sostenuto che l'intimità consensuale può anche spingersi oltre. Ma non per questo non ho avuto momenti indimenticabili di grande tenerezza».

Ha mai provato la sensazione che, qualsiasi cosa potesse dire per difendersi, non sarebbe comunque mai stato creduto?

«Più di una sensazione, ne ho avuta la certezza».

Boettcher oggi è sinonimo di «pazzia», «malvagità» e «perversione». Lei si sente un pazzo, un malvagio, un perverso?

«Non mi identifico in queste definizioni. E mi dispiace molto che lei mi abbia posto questa domanda».

Se fosse padre di una ragazza, sarebbe contento che sua figlia frequentasse un tipo come Alexander Boettcher?

«Certamente sì, se fosse l'Alexander Boettcher di oggi».

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