Ipotesi arresto, così l'Italia potrebbe trattenere Latorre

Se la magistratura gli ritirasse il passaporto il ritorno in India di Massimiliano Latorre sarebbe precluso

Ipotesi arresto, così l'Italia potrebbe trattenere Latorre

«Esistono due procedimenti penali in atto della procura militare e ordinaria. Se la magistratura lo “arresta” o meglio emette un'ordinanza cautelare anche blanda e gli ritira il passaporto il marò appena rientrato non potrà tornare in India», dichiara al Giornale Angela Del Vecchio, esperta di diritto internazionale dell'università Luiss di Roma.

Massimiliano Latorre, rientrato ieri da Delhi in convalescenza, dovrebbe riconsegnarsi fra quattro mesi, il periodo della licenza sanitaria concessa dalla Corte suprema indiana. Per assurdo basterebbe che si muovesse la magistratura italiana per trattenerlo in patria. «Il problema è che l'altro marò (Salvatore Girone) è rimasto in India, di fatto in ostaggio - sottolinea la docente -. Se cittadini italiani sono indagati per degli illeciti ed il procedimento è aperto non possono venire rimandati all'estero per essere sottoposti ad altri giudizi», spiega Del Vecchio. «La giurisprudenza costituzionale stabilisce che nessuno può venir privato del suo giudice naturale - osserva - che in questo caso è quello italiano, dello Stato di appartenenza». E per di più l'articolo 26 della Costituzione vieta l'estradizione salvo che non sia previsto da convenzioni internazionali, che non ci sono fra Italia e India. «Con la misura cautelare possono ritirare a Latorre il passaporto» fa notare l'esperta. E potrebbero bastare i domiciliari oppure l'obbligo di firma e il divieto di espatrio per i procedimenti in corso.

«Tutto questo in teoria, ma in realtà, ripercorrendo la strada delle licenze natalizie ed elettorali con tanto di garanzia scritta di rientro e lasciando uno dei marò a Delhi ci siamo infilati in un cul de sac » sostiene Del Vecchio. «La strada migliore è quella dell'arbitrato internazionale, che si può attivare subito - conferma la docente -. E magari pure l'India ne ha abbastanza del caso marò. Dietro questa spinta potrebbe decidere di risolvere la faccenda diplomaticamente, una volta per tutte».

Neanche nello stato indiano del Kerala, da dove erano partiti i due pescatori, che secondo l'accusa sarebbero stati scambiati per pirati ed uccisi dai marò, si sono levate proteste per il permesso sanitario concesso a Latorre. In occasione delle precedenti licenze, invece, c'erano sempre state forti levate di scudi.

Ieri il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ha interpretato il rientro di Latorre come l'ultima spiaggia. «Siamo tecnicamente pronti ad un arbitrato internazionale se questi accordi non andassero in porto - sostiene Rossi -. Però ci sembra doveroso provare un ultimo tentativo anche per abbreviare i tempi». Per un arbitrato ci vogliono 2-3 anni, ma i marò potrebbero venir consegnati ad uno Stato terzo in pochi mesi.

La licenza per convalescenza fino al 13 gennaio, dettata dall'ischemia di Latorre, rischia, invece, di trasformarsi in un'arma a doppio taglio piuttosto che in una soluzione. «Uno dei punti fermi doveva essere quello di non riconoscere la giurisdizione indiana, ma con il rientro del marò e la firma delle garanzie la posizione italiana ne esce molto indebolita», sottolinea Natalino Ronzitti, docente di diritto internazionale, che conosce il caso.

Antonio Colombo del Cocer, la rappresentanza della Marina militare, ammette che sarà impossibile non far rientrare Latorre in India «con Girone rimasto praticamente in ostaggio a Delhi». Pur parlando a titolo personale rivela che tanti marinai la pensano come lui: «Il premier Renzi poteva evitare di twittare le congratulazioni agli indiani».

Se la magistratura italiana trattenesse Latorre in Italia «cosa succederà all'altro marò? - si chiede Colombo - Siamo in grado di gestire un braccio di ferro con gli indiani? In passato quando erano rientrati tutti e due in patria abbiamo visto come è andata a finire».

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