Iran fuori gioco, i sunniti convinti. La strategia dell'interesse comune

Il lavoro di Trump inizia nel primo mandato con l'eliminazione di Soleimani e i Patti di Abramo. E si compie coi missili su Teheran e le intese con Bin Salman ed Erdogan

Iran fuori gioco, i sunniti convinti. La strategia dell'interesse comune
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Obama e Joe Biden ci avevano provato. "The Donald" c'è riuscito. La differenza è tutta qua. Ma dietro le mosse che hanno permesso alla Casa Bianca di piegare le resistenze dell'irriducibile Benjamin Netanyahu, mettere in ginocchio Teheran e convincere le nazioni sunnite a infilare il guinzaglio ad Hamas c'è una sostanziale differenza di metodo. Obama s'illudeva di stringere un'alleanza con tutto il mondo musulmano. Iran sciita e jihadisti sunniti compresi. I risultati furono lo Stato Islamico da una parte, le milizie filo iraniane dall'altra e, in mezzo, un Netanyahu fuori controllo. Biden fece anche peggio dimostrandosi incapace non solo di arginare Israele e fronteggiare l'Iran, ma anche di costruire relazioni credibili con le nazioni arabe. Le intese per la liberazione degli ostaggi ottenute da Trump sono, invece, il risultato di una strategia di lungo periodo avviata già nel primo mandato.

In quel primo quadriennio Trump non si limita a cancellare le intese sul nucleare iraniano firmate da Obama sostituendole con sanzioni durissime. Il 3 gennaio 2020 ci aggiunge l'eliminazione fisica di Qassam Soleimani, il capo delle Brigate Al Quds, demiurgo di tutte le alleanze regionali della Repubblica Islamica. Parallelamente affida al genero Jared Kushner lo sviluppo dei Patti di Abramo. Alla base di quei patti c'è l'idea, indigeribile per la politica convenzionale, che i rapporti tra Israele e nazioni arabe vadano sviluppati non in virtù di vaghi principi di pace e coesistenza, ma grazie a solidi interessi comuni in campo politico, finanziario e commerciale.

Appena rieletto, Trump non esita a riprendere il cammino interrotto. Il bombardamento delle infrastrutture nucleari iraniane dello scorso luglio rappresenta un colpo durissimo non solo per il regime di Ali Khamenei, costretto al ritiro dagli scenari mediorientali, ma anche per Hamas orfano del padrino che ne aveva permesso il riarmo e il "blitz" del 7 ottobre. Una perdita che fa il paio con il ridimensionamento di Hezbollah per mano israeliana.

Sul fronte delle nazioni sunnite la strategia trumpiana è ancora più incisiva. L'asse con l'Arabia Saudita del principe ereditario Mohammed Bin Salman si rafforza con la firma a Riad, nel maggio scorso, di intese per oltre 600 miliardi. La riabilitazione dell'ex terrorista siriano Ahmed Al Shaara, portato al potere da Ankara, permette invece il riavvicinamento alla Turchia di Erdogan. La stretta di mano con cui Trump garantisce la cancellazione della taglia da 10 milioni di dollari sulla testa di Al Shaara trasforma di fatto la Siria in un protettorato di Ankara. Un regalo ricambiato da Erdogan con l'imbrigliamento di una dirigenza di Hamas assai attenta nel difendere gli assetti finanziari per svariati miliardi di dollari controllati attraverso prestanome turchi. Promessa rispettata durante i negoziati di Sharm El Sheikh quando le pressioni su Hamas esercitate da Ibrahim Kalin, capo dei servizi segreti di Ankara, si rilevano determinanti.

Ma il vero capolavoro dell'amministrazione Trump è la conquista della fiducia del Qatar e l'utilizzo, a proprio vantaggio, degli errori commessi dall'"alleato" Netanyahu. Una dinamica avviata lo scorso 9 settembre quando il premier israeliano autorizza il fallimentare bombardamento del grattacielo di Doha dov'è riunita la dirigenza di Hamas. In quel frangente Trump ha l'intuito di trasformare il passo falso israeliano, la rabbia del Qatar e l'indignazione dei Paesi arabi, nel trampolino del proprio piano. La prima mossa è mitigare la furia dei Paesi arabi delegandogli la preparazione del piano per ingabbiare Hamas. E, subito dopo, consentire a Netanyahu di ritoccarlo. Ma solo in cambio di un'umiliante telefonate di scuse al premier qatariota. Da lì nasce il piano in venti punti. Un piano concretizzatosi intorno a due svolte fondamentali.

Da una parte la minaccia qatariota di togliere ad Hamas i fondi indispensabili al proprio sostentamento. E dall'altra la consapevolezza di Netanyahu di non godere più della libertà d'azione concessagli fin lì dalla Casa Bianca. Un epilogo dietro il quale si cela però una svolta lunga nove anni.

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