Lo stile Trump, per cui prima viene la faccia feroce, e poi una mano tesa crea una situazione che l'interlocutore non si aspetta, sta ormai diventando un'abitudine, un «pattern»: lo abbiamo visto col Nord Corea, con gli europei e con la Nato, e adesso è la volta dell'Iran. Nella conferenza stampa con il nostro primo ministro Conte ha offerto di incontrarsi, senza rancore, senza precondizioni con la leadership iraniana, perché parlare male non fa, e incontrarsi è una delle sue specialità, da vero businessman, occhi negli occhi.
Pochi giorni prima Trump aveva avuto uno scambio di battute aggressivo: annunciava che non avrebbe più sopportato «le parole demenziali di violenza e morte» tipiche della leadership iraniana, e l'Iran si autodefiniva «madre di ogni pace ma anche madre di ogni guerra» sfidandolo al duello finale. Ora Trump ha aperto d'un tratto le finestre. Avviene in articulo mortis, dato che scatta il primo gruppo di sanzioni, il 7 agosto quelle sull'acquisto del denaro e dell'oro, il 4 novembre quello su petrolio, per cui potrebbe cadere il commercio con l'Iran dei due terzi. Anche quello tradizionale di tappeti e di cibo sta per cadere vittima delle rinnovate sanzioni. Una prospettiva disastrosa per un Paese già percosso da una crisi economica che ha ridotto la popolazione sul lastrico: ci vogliono 122mila rial per comprare un dollaro, il mercato dell'oro va ancora peggio e ha un bel fare il governo, coadiuvato dalle Guardie Rivoluzionarie, a opprimere ogni forma di protesta che ormai spunta in molti angoli del Paese. Inutile anche accusare spie, traditori, cospirazioni straniere e arrestare per crimini economici.
Trump col suo invito ha messo in ulteriore difficoltà gli ayatollah: lo scopo è fermare i progetti imperialisti dell'Iran e la sua evidente spinta a creare l'atomica. Il suo sogno, il cambio di regime. Adesso, sono in una bella trappola sia il presidente Rohani sia il supremo leader Khamenei: la gente non accetterà che respingano con disprezzo l'offerta, dicano che l'unica strada è quella per cui gli Usa tornino al trattato. Il consigliere di Rohani Hamid Aboutalebi dice che si può parlare solo con chi mostrerà rispetto tornando al trattato. Ma la gente ha bisogno anche di pane, e una leadership che rifiuti a priori è ormai in contrasto con un popolo che in piazza ha gridato fino a pochi giorni fa «Basta con la Siria, occupatevi di noi».
Mike Pompeo ha commentato l'invito legandolo a un cambiamento della gestione del potere da parte degli ayatollah, di una riduzione della loro «malignity», del loro addivenire a un vero accordo nucleare.
In sostanza adesso la leadership iraniana, quali che siano le intenzioni di Trump se l'incontro dovesse aver luogo, è sempre più minacciata da una rottura verticale con l'opinione pubblica. E gli inviti di Rohani all'Europa a risolvere i suoi problemi economici, sono fra i meno convincenti che la politica ricordi.
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