Londra I primi exit poll consegnano un equilibrio quasi perfetto: Fine Gael, il partito del premier Varadkar, al 22.4%, Sinn Féin al 22.3%, Fianna Fáil al 22.2%. Il risultato delle elezioni irlandesi si conoscerà stasera, quando terminerà lo scrutinio. Nonostante lo aspetti una lunga notte di commenti e analisi, Pat Leahy, editorialista politico dell'Irish Times, si presta affabile a parlare del voto irlandese di ieri, il cui vincitore sarà conosciuto stasera. Un'elezione incerta, con i tre principali partiti molto vicini nonostante il recente boom economico del Paese e un'ottima gestione dello spauracchio Brexit, elementi che avrebbero dovuto favorire il governo in carica. «Bisogna però tener conto che se Leo Varadkar, l'attuale premier, è un politico relativamente nuovo, il suo partito, il Fine Gail, ha vinto le ultime due elezioni ed è al potere da un decennio. Vincere una terza è inevitabilmente più difficile, le persone si stancano e cercano un cambiamento. C'è poi un'altra ragione: Varadkar ha sì ottenuto ottimi risultati ma è diffusa l'opinione che per quanto riguarda la sanità e il problema del costo delle case e degli affitti il governo abbia fallito. Molti giovani a Dublino, nonostante abbiano un buon lavoro, non riescono ad acquistare o affittare una casa e vivono ancora coi genitori». Varadkar è un politico giovane, incarna un'Irlanda di start up e aziende high tech, di immigrati e nuovi diritti. Ma è amato più all'estero che non in casa. In questo ricorda Macron. «Sì, ci sono delle similitudini col presidente francese. Molti pensano che non rappresenti la gente comune, sia distante, parte di un'élite lontana dalla realtà. In un certo senso è vero, è stato educato in una scuola privata e in una prestigiosa università, dottore come suo padre. E ciò è vero anche per altri membri del suo governo. Questo non avrebbe alcuna rilevanza se non ci fossero dei problemi di cui lamentarsi ma se invece i problemi ci sono la gente fa un conto unico».
Lo scenario più probabile è un governo a guida Fianna Fáil, con un appoggio esterno del Fine Gael. È la stessa situazione degli ultimi anni, solo a parti invertite. «Sulla politica economica e sull'approccio alla Brexit i mutamenti saranno minimi, qualche aggiustamento, migliore efficienza, ma nessun cambiamento radicale come quelli proposti dallo Sinn Fein». Sono propri i nazionalisti irlandesi la grande sorpresa, con gli ultimi sondaggi che li davano addirittura in testa. Le ragioni sono demografiche e socioculturali. «Stanno diventando più popolari fra i giovani, che sono portati a pensare ai troubles e alle lotte per l'indipendenza come una questione storica. Tuttavia questa popolarità si basa anche su una piattaforma politica più di sinistra rispetto agli altri due grandi partiti: più tassazione, più attenzione ai servizi sociali, maggiore redistribuzione della ricchezza».
Case e ospedali, una campagna elettorale condotta da tutti su un'agenda di politica interna. Dov'è la Brexit che qui, più che altrove, potrebbe costituire un disastro abissale? «Durante questi anni la Brexit non è stato un terreno di scontro per i partiti irlandesi che hanno invece sostenuto il governo. Il Paese si è dimostrato maturo, non ha fatto di un tema di politica estera una questione interna. Ora stiamo vivendo una sorta di crisi di rigetto. C'è stato un accordo, il problema per il momento è stato risolto e quindi accantonato, le persone ne hanno avuto abbastanza». La Brexit però non è finita: «L'approccio irlandese non cambierà e non diverrà una questione politica divisiva.
Sempre che il Sinn Feinn non vada al governo, nel qual caso ci potrebbero essere nuove richieste sullo status dell'Irlanda del Nord che renderebbero le trattative ancora più incerte. Ma credo sia uno scenario improbabile».
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